Dieci anni senza Tabucchi

Mi è arrivato un messaggio, oggi, dieci anni fa. Un messaggio che speravo non arrivasse, e che comunque, lui stesso, Antonio Tabucchi, mi aveva garantito che non sarebbe arrivato, fiducioso che tutto si sarebbe risolto per il meglio. Ho letto il messaggio, sono rimasto senza fiato, sono corso da Tirsa e le ho detto È morto. Ci siamo abbracciati, in silenzio, a lungo. Molti anni dopo, ho scritto questa cosa, finita poi nelle pagine di Storie che accadono, uscito la settimana scorsa, pubblicato da People.

Credevo non esistessero foto di Tabucchi e me insieme. E oggi posso dire che quel 18 settembre 1994 indossavo molto probabilmente lo stesso completo della mia laurea. Non si riesce a distinguere con precisione, ma la tonalità di grigio in quel punto della foto in bianco e nero potrebbe facilmente corrispondere al color tabacco del completo che mio fratello mi aveva regalato per l’occasione. Difficile invece dire se la camicia fosse quella color lavanda che avevo indossato per la discussione. Avevo i capelli lunghi, stempiatura già evidente, anche se dovrei limitarmi a dire che avevo i capelli e punto. Credevo non ce ne fossero di foto, anche se ne ho cercate, nei file sparpagliati dentro a dischi rigidi esterni, vecchi floppy disk, cassetti, pagine di libri. Avevo anche provato a chiedere in televisione se avessero conservato quella puntata con la nostra intervista. Sparita. Mi ero rassegnato. Poi, uscito da poco questo libro in Francia, un vecchio amico mi manda una foto in bianco e nero, dove sono inquadrato di profilo seduto su un divanetto di velluto rosso – quasi nero, nella foto – del caffè Florian. È una foto sgranata, ma di quella sgranatura analogica che capitava quando fotografavi in un luogo con scarsa luce e senza flash. Accanto a me, Antonio Tabucchi mi sta parlando, ha una giacca chiara, probabilmente beige, una camicia scura, direi blu. La sua mano sinistra sta per battere sopra la copertina di Sostiene Pereira, appoggiato al tavolino, e chissà cosa sta ribadendo. Dal tipo di inquadratura si direbbe che io stessi annuendo. Vicino al libro, ci sono due cassette Betacam, di quelle piccole, da telecamera. Lui aveva ancora i baffi di Pessoa, io senza barba, invece, e dalla foto – e dalla mia memoria – è proprio impossibile sapere cosa ci stessimo dicendo. È quella l’unica foto che ho insieme a Tabucchi, dove lui è riconoscibilissimo e io potrei essere un altro. Tirsa una volta me l’ha fatta trovare sul tavolo in cucina, stampata, lei che il giorno in cui il mio amico aveva scattato quella foto – il giorno in cui mio padre compiva sessant’anni, Tabucchi ne aveva cinquantuno, io trentatré – lei era appena adolescente. Ora la foto è appesa sulla porta del frigo, tenuta su da un magnete a forma di tram giallo.