Venezia sotto assedio

Qualche buontempone ha avuto la brillante idea di organizzare un G20 nel cuore di Venezia. una scelta che meriterebbe aggettivi adeguati e privi di qualunque filtro educato. Ieri ho scritto questa cosa pubblicata su La Nuova Venezia.

Vent’anni fa, luglio 2001, si svolse a Genova il G8. Per raccontare come andarono le cose, non basterebbe l’intera copia del giornale che state leggendo. Le violenze, i gas velenosi, gli arresti di massa, le torture, la “macelleria messicana” alla scuola Diaz, l’uccisione di Carlo Giuliani. Basta un giretto su Google, per chi volesse approfondire. Quell’evento fu un punto di svolta nella Storia contemporanea di questo Paese. Ma fra tutte le conseguenze tragiche, giuridiche, politiche, sociali che lasciò, ce n’era una che sembrava la più logica e facilmente applicabile: mai più un summit nel centro storico di una città italiana. Lo dissero in molti, lo giurarono addirittura. Mai più. Solo che non avevamo fatto i conti con la classe professionale più smemorata del mondo, spesso inadeguata e a volte in malafede: la classe politica. Non l’intera classe politica, sia chiaro. Ma gran parte di quella che governa oggi l’Italia e amministra Venezia, quella sì. Perché chiedo a voi come possano essere definiti coloro che vent’anni dopo Genova hanno deciso non solo di organizzare un G20 nel centro storico di una città, ma addirittura nel cuore della città storica più bella e fragile del mondo, Venezia. L’organizzazione di questi summit sono di per sé degli atti violenti nei confronti dei cittadini. Per carità, si tratta di una violenza soft, ma quando parte degli abitanti del sestiere di Castello si sono ritrovati le calli di casa isolate da inferriate in alluminio, da delle vere e proprie gabbie come quelle della zona rossa di Genova, non hanno potuto non provare un sentimento di violenza nei loro confronti, incomprensibile e inopportuna. Fermate dei vaporetti sospese, itinerari assurdi che non faranno che penalizzare i pendolari e non soltanto loro. Certo, bisogna garantire la sicurezza di chi partecipa, ma non a scapito delle libertà di noi cittadini. Se proprio lo si voleva fare a Venezia, perché non scegliere una delle tante isole? Per il solito motivo: l’occasione di una bella vacanzetta a Venezia a spese poi di chissà chi. In particolare, però, a spese delle nostre libertà. Allora, ripeto, come li definiamo coloro che hanno voluto organizzare questo summit? E come definiamo la giunta che amministra la città che invece di stare dalla parte dei cittadini si bea ed esalta questo evento con la solita incomprensibile tiritera della visibilità mondiale che la città avrà in questi giorni? Come se Venezia non fosse visibile al mondo intero già da secoli. Come far loro capire che è ora di finirla di pensare a questa città solo come se fosse una vetrina? E chi glielo dice che dopo un anno e mezzo di pandemia, i commercianti del sestiere di Castello non avevano certo bisogno di ulteriori giornate di restrizioni ferree del tutto inutili e dannose? Si parla da tempo dello scollamento sempre più marcato fra la politica e i cittadini. Organizzare in questo modo e in questi luoghi un G20 è molto più di un autogol. È un’istigazione alla rabbia o, quanto meno, un invito ad allontanarsi ancora di più, a ignorarla definitivamente, questa classe politica.