Genova, 20 Luglio 2001
Oggi, diciannove anni fa, Carlo Giuliani veniva ucciso in Piazza Alimonda, a Genova. Erano i giorni del G8. Questo pomeriggio, alle 17 ne parlerò in diretta streaming insieme a Cisco Bellotti, a Massimo Zamboni, Alessio Di Modica e Haidi Giuliani. Questo l’appuntamento su Facebook.
Pubblico qui le pagine di quel momento, in Piazza Alimonda, tratte dal mio romanzo, Cosa cambia (Marsilio, 2007).

Terza sequenza.
Immaginate ora un pomeriggio torrido. Caldo, incessante, fin dal mattino. E immaginate una piazza, una qualunque delle tante che trovate nelle città di questa nazione, una piazza non troppo grande, chiusa, e la chiesa, naturalmente. E immaginatevi, ripeto, un pomeriggio torrido. Quel venerdì pomeriggio. Immaginatevi un corteo – autorizzato – tenuto sotto assedio da almeno tre ore. E poi l’aria. Aria calda, afosa, irrespirabile per l’odore dei gas, incessante, anche quello, da ore. Chi può protegge il volto, lo copre. Impossibile resistere senza. E allora va bene tutto, sciarpe, maschere, occhiali da sole magari protetti ai lati da fazzoletti meglio se bagnati, berretti calcati fin dove possibile. E passamontagna, anche, come quello blu scuro, che indossa quel ragazzo in canottiera bianca, capitato anch’egli nella trappola della piazza circondata da tutti i lati. Immaginatevi dunque – non foste ancora riusciti a farlo – un’aria resa irrespirabile fin dal mattino ed è già quasi sera, ore e ore con i polmoni che bruciano, la pelle che brucia, gli occhi che bruciano, e poi il caldo, la rabbia, il terrore. Provateci, per favore, prima di guardare queste foto.
Foto 1.jpg. Dal finestrino posteriore della camionetta blu scura, il tetto bianco, viene lanciato fuori un estintore arancione. È sospeso a mezz’aria quasi al centro del finestrino, il vetro, sfondato, non esiste più. In alto nella foto, sulla sinistra, alcuni carabinieri in assetto antiguerriglia, dei robocop, maschere antigas e ogni altro tipo di protezione e di aggeggi da offesa, osservano. Sette manifestanti sono attorno alla camionetta, ma forse, per via della prospettiva schiacciata dal teleobiettivo, solo due sono davvero vicini. Uno con un caschetto di plastica giallo, una maglietta bianca e un salvagente arancione attorno al collo, che gli protegge il petto. Il secondo, quasi fuori quadro, sembra stia per sfondare il finestrino laterale di destra con una tavola di legno.
Foto 2.jpg. Quello con la tavola di legno sembra essere riuscito a romperlo, il vetro. Poco dietro di lui, un ragazzo biondo, giubbotto di jeans, è bloccato nel gesto di tirare un tubo. Più in primo piano, un ragazzo magro magro, col passamontagna blu e la canottiera bianca, ha la testa leggermente piegata in basso. Gli si vede solo il profilo degli occhi. Quello sinistro. Osserva l’estintore appena lanciato fuori dalla camionetta. Di fronte a lui, un ragazzo con la felpa grigia e il casco blu indica qualcosa davanti a sé. Forse la mano del ragazzo in divisa, che sporge leggermente dal finestrino e impugna una pistola. Più in basso, nitido, un altro ragazzo col casco blu volta le spalle al Defender (il nome della camionetta, scritto accanto alla grande ruota di scorta col cerchione bianco). Sembra stia uscendo di scena dopo aver visto la pistola spuntare netta, evidente, brillante, dal finestrino posteriore senza più vetro.
Foto 3.jpg. Il ragazzo con la felpa grigia corre fuori dalla fotografia, fuori dal tiro del ragazzo in divisa che ha ancora la pistola in pugno. Il ragazzo con la felpa grigia è bloccato in quel gesto, inequivocabile, che ti ritrae, quando scappi, con la gamba in avanti piegata, il corpo proteso, abbassato, le braccia aperte, l’una opposta all’altra, e la gamba dietro che tende tutti i muscoli possibili per slanciarti via, fuori quadro, fuori dal tiro della pistola che il ragazzo in divisa impugna col dito sul grilletto. Con quel movimento veloce, il ragazzo con la felpa grigia lascia libera e visibile la targa della camionetta: CC AE-217. Pochi centimetri più in là, il ragazzo col passamontagna blu non si accorge di nulla. È concentrato sull’estintore. È piegato verso l’asfalto e sta per sollevarlo, anche se si vede solo la parte bassa del suo corpo, i jeans, un pezzo di schiena, e poi, soltanto le mani che stanno per stringere ai lati longitudinali l’estintore. Chissà quanto pesa un estintore. È seminascosto da uno in bermuda verde scuro, quelli pieni di tasche, un giubbotto blu, un casco da scooter rosso bordeaux e in mano un pezzo di legno. Osserva come impotente. Fuori quadro, facile immaginarli, decine di carabinieri vestiti da robocop stanno invece osservando in modo diverso, come da spettatori quasi involontari.
Foto 4.jpg. Sì, dev’essere pesante, un estintore. I muscoli del ragazzo col passamontagna sono tesi mentre tiene all’altezza della bocca la bombola arancione. Il suo gesto è bloccato lì, in quell’istante che sembra dividersi a metà fra l’offesa e la difesa. Perché il ragazzo col passamontagna adesso non può non averla vista la mano del ragazzo in divisa sporgere leggermente dal finestrino. E anche la pistola ha visto. E la pistola, forse ha già sparato, perché il ragazzo che sulla destra ha rotto il finestrino laterale molla all’improvviso la tavola ed è girato ancora più a destra, lo sguardo verso la più prossima delle vie di fuga, e quello biondo, giubbotto di jeans, anche lui sta indietreggiando, ancora col tubo in mano ma appoggiato a terra. Sulla parete d’angolo, color sabbia, poco sopra la
“la camionetta, appare per la prima volta la scritta, color argento, no more cops. Se il ragazzo col passamontagna blu fosse stato in grado di sollevare quell’estintore pochi centimetri più in su. Se gli altri uomini in divisa, fuori quadro, fossero passati dal verbo osservare al verbo che in tutti gli altri angoli di Genova hanno usato reprensibilmente, il verbo agire. Se qualcuno non avesse deciso di mandare dei Defender all’attacco, con dentro dei ragazzini di leva, se non avesse ordinato a camionette non blindate di fare scorribande in mezzo ai manifestanti resi esausti da ore e ore di assedio e di gas. Se.
Foto 5.jpg. Sì, il ragazzo in divisa ha sparato. Il ragazzo col passamontagna è stato colpito. Si vede l’estintore caduto ai suoi piedi. L’autista della camionetta deve aver ingranato la retromarcia, forse per fuggire, forse per passare sopra al corpo del ragazzo col passamontagna. Si vede la ruota posteriore sinistra che sta scaricando i quintali del Defender sul dorso del corpo forse ancora in vita che sta per essere girato su se stesso dalla pressione del pneumatico sulla schiena. Ora, dalla fessura del passamontagna, si vedono gli occhi. Sembrano chiusi. Il braccio destro piegato sul petto, il sinistro nascosto sotto al corpo. A sinistra dell’inquadratura, in basso, si vede un ragazzo con il casco rosso e la maglietta scura che sta scappando fuori della cornice inferiore della foto. Ha in mano un bastone. Un altro, con la maglietta rossa e un sasso in mano, sta correndo fuori dal quadro, verso destra.
Foto 6.jpg. Il corpo del ragazzo col passamontagna è sotto alla camionetta. Più o meno a metà fra la ruota anteriore sinistra e quella posteriore. Potrebbe sembrare un meccanico che sta riparando qualcosa, non fosse che i piedi, scarpe da ginnastica nere, in quella posizione lì, possono appartenere, adesso, solo a un cadavere. L’estintore è davanti alla ruota anteriore. In primo piano, le mani del ragazzo in divisa. La destra con la pistola ancora stretta. Calda, adesso. Due colpi in meno dentro al caricatore. La sinistra che sembra stringere qualcos’altro.
Foto 7.jpg. La ruota posteriore sinistra della camionetta è passata di nuovo sopra al corpo del ragazzo col passamontagna. La camionetta è lontana già un paio di metri. Se ne sta andando. Dall’angolo superiore della foto, gli altri robocop in divisa che hanno fatto da spettatori, se ne vedono nove, hanno ora il passo aperto in direzione del corpo del ragazzo col passamontagna, steso con le gambe allargate. Gli occhi girati verso la camionetta. Verso le mani ancora visibili del ragazzo in divisa, che lo ha ucciso.
Passi di
Cosa cambia
Roberto Ferrucci
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