Cronache delle case

Da più di un mese stiamo in casa. Abbiamo imparato in fretta ad abitarla in modo diverso, un modo inimmaginabile prima che scoppiasse la pandemia. La casa è diventata, o ridiventata, il centro della nostra vita, anche se per tanti, costa fatica, anche se le case non sono tutte adatte a starci dentro, anche se per qualcuno stare rinchiuso è uno sforzo difficilmente sopportabile. Io invece ci so stare in casa. So come farlo. Non mi è mai pesato. Ripensando ai libri che ho scritto, mi sono accorto che sono pieni di stanze e di case, anche se poi a me piace scrivere fuori, nei bar, nei parchi, ovunque, e sono spesso in viaggio. Ci sono le case di Terra rossa (Transeuropa, 1993), quella dove l’io narrante, Antonio, dalla sua stanza instaura uno strano dialogo con il vicino dall’altra parte della parete, che non ha mai visto, e c’è la casa dove andrà a vivere con la sua compagna, Ilana. C’è la casa di Cosa cambia (Marsilio, 2007), che il protagonista abbandona dopo anni e dopo avere detto Me ne vado ad Angela, e ci sono le tante stanze d’albergo dove soggiornerà in periodi diversi a Genova. C’è la casa di Sentimenti sovversivi (Isbn edizioni, 2011), l’appartamento degli scrittori al decimo piano del Building a Saint-Nazaire, con la Loira di fronte e l’oceano di lato, oltre alla casa ideale, quella che con Teresa mette insieme camminando la notte per Venezia. Infine, ci sono la casa dello stare e quella dell’essere di Venezia è laguna (Helvetia editrice, 2019).

Questi sono due estratti, il primo da Venezia è laguna, il secondo da Sentimenti sovversivi.

Se nella tua vita sono tante le case che hai abitato, che abiti e che abiterai, fra queste, da una parte c’è la casa dello stare, dall’altra la casa dell’essere. Quest’ultima è meglio non coincida con casa tua. Non c’è una regola che possa individuarla con esattezza, la casa dell’essere. Non servirà forzare la memoria, farla andare a ritroso per riconoscerla e collocarla, è una casa che non arriva da lontano, la si incrocia a un certo punto della vita, e forse non capita nemmeno a tutti di finirci dentro e non uscirne più. Non credo si tratti di fortuna o di destino, e non importa neanche dove si trovi, la casa dell’essere non la si sceglie perché è bella o ben posizionata. Nessuno può indicartela o consigliartela. È piuttosto un sentimento, senti che quello è il luogo. (Venezia è laguna, Helvetia editrice, 2019).

È un gioco ricorrente, lo so, quello di immaginarsi dentro a questa a o quella casa, e a Venezia puoi farlo col più ampio margine di regole, questo gioco, lungo le calli strette, o dal vaporetto che percorre, nottetempo, il Canal Grande. Perché alle innumerevoli opportunità offerte, dovete aggiungerci anche il silenzio, di Venezia, e allora pure i suoni, provenienti da quegli interni, fanno parte del nostro gioco. Travi a vista, lasciate grezze o lavorate, opulenti lampadari di Murano o slanciate lampade filiformi, librerie dell’Ikea per libri in formato tascabile o scaffali intarsiati per preziosi volumi d’epoca, soffitti imbiancati o affrescati. Immaginiamo esistenze, indoviniamo quantità di componenti familiari, azzardiamo professioni e redditi annui. Nel periodo in cui cercavamo casa, cancellavamo proprietà altrui e anche solo per pochi secondi il nostro domicilio si stabiliva in quell’appartamento al piano nobile – ovviamente – nei pressi del ponte dell’Accademia, attratti in questo caso dalle librerie, ma respinti, Teresa in particolare, dalle tende di velluto rosso, accostate ai lati, che avremmo potuto sì cambiare, ma era più facile, ora, fare un istantaneo cambio di residenza dall’altra parte del Canal Grande, a Santa Maria del Giglio, dove il vaporetto stava attraccando, primo piano, questa volta, le piante ai balconi, e quel terrazzino, posizione perfetta, spazio per un tavolino e una sedia, forse addirittura un tavolo per le cene con gli amici, non fosse che poi – sì, hai ragione, mi disse Teresa – quella prossimità così stretta all’imbarcadero, un vaporetto ogni dieci minuti direzione piazzale Roma, uno ogni dieci minuti direzione Lido, che diventano in questo modo un vaporetto ogni cinque minuti – e di notte ogni venti – fece svanire la nuova residenza in una manciata di secondi.

Ma le case che ci piacciono di più sono quelle nascoste nei sestieri meno conosciuti, a Cannaregio, a Castello, nelle calli strette che spesso finiscono nel nulla, o in quei campielli che si aprono all’improvviso. Appartamenti anonimi, dai quali escono conversazioni a volte delicate, altre scorbutiche, sussurri e grida, e noi che ci appiattiamo al muro e stiamo lì ad ascoltare, e ad abbracciarci, magari, inteneriti dalla delicatezza di una voce di bambina che impara le tabelline e le scandisce orgogliosa alla madre. Continuiamo a farlo anche adesso – soprattutto abbracciarci, certo. Camminiamo per Venezia e mettiamo assieme il nostro catasto privato. La nostra casa ideale è sparpagliata in giro per la città. La camera da letto in una certa zona non lontana dalle Zattere, la cucina dalle parti dei Frari, il terrazzo in Riva dei Sette Martiri, il salotto a San Giacomo dell’Orio. Alla fine lo abbiamo capito, è stata la città stessa a suggerircelo. È Venezia la nostra casa. (Sentimenti sovversivi, Isbn edizioni, 2011).