Venezia è acqua alta, altissima
Ora il vento è calato, è l’una e quaranta di notte, la marea poco sopra i cento centimetri, ma credo siano pochissimi i veneziani in grado di dormire. È stato un disastro, ancora non quantificabile. La marea di 187 centimetri si è fermata a soli sette dai 194 dell’alluvione del 1966. Abbiamo passato la sera al telefono e scambiarci messaggi con chi è ancora senza luce, con chi cercava inutilmente di alzare frigoriferi, armadi e letti e alla fine ha perso tutto, case e negozi invasi dall’acqua che entrava come se fosse un fiume in piena. Qui da noi, nei pressi della Biennale, alberi sradicati, un paio di barche finite in pineta, gli imbarcaderi dell’Actv con le passerelle sott’acqua, ma è completamente buio ed è difficile capire se c’è dell’altro, da un video girato da non so chi sembra di vedere un vaporetto affondato, ma non è chiaro. Nonostante ciò, rispetto al resto della città, posso davvero dire che qua non è successo niente. Stavo per andare a letto, poco fa, ma ho sentito l’urgenza di scrivere, ma poi cosa vuoi scrivere in questi casi.
Domani pomeriggio avrebbe dovuto esserci una specie di festa alla Libreria Toletta per l’uscita di Venezia è laguna, ma non oso nemmeno immaginare come sia la situazione là dentro, quanti libri e chissà cos’altro siano stati distrutti dall’acqua. Domani chiamerò Giovanni Pelizzato, il libraio, e gli chiederò come stanno, e di rinviare l’appuntamento, credo non sia proprio il caso di mettersi a brindare e festeggiare mentre la città starà ancora facendo il bilancio dei danni, che saranno immensi, e chissà quanti di questi irreparabili, definitivi.
Già, Venezia è laguna, e la laguna a volte è anche questo. Ma non si tratta di qualcosa di esclusivamente naturale. C’è tanto di nostro, ormai lo sappiamo bene tutti, in questi eventi catastrofici sempre più frequenti. E stasera, come al solito, in tanti hanno invocato il Mose, l’opera faraonica che avrebbe dovuto salvare Venezia da queste calamità. Ma è meglio non ne parli, per il rispetto e il dolore che provo stanotte, nel vedere la mia città devastata, e sempre più fragile, sempre più indifesa, sempre più abbandonata a se stessa.