Quel giorno quando Totti


In questo momento Francesco Totti sta ancora facendo l’ultimo giro di campo, all’Olimpico di Roma, dopo l’ultima partita della sua carriera. Qualche anno fa, nel libro I nuovi sentimenti (Marsilio, 2006), raccolta di racconti curata da Romolo Bugaro e Marco Franzoso, il mio, intitolato Solitudine, raccontava fra l’altro il suo rigore contro l’Australia, che fu decisivo nel cammino verso il titolo mondiale. Saluto così, riproponendo quell’estratto, i venticinque anni di carriera di Francesco Totti. 


Sull’ultrapiatto ad alta definizione di mio fratello, lo vedi quattro volte meglio del normale il pallone, sul cerchio del centrocampo, arrivare sui piedi di Francesco Totti al novantaduesimo e ventinove secondi. Zero a zero. L’arbitro ha concesso tre minuti di recupero. Che nazione è mai, dunque, una nazione la cui nazionale si fa eliminare ai mondiali dall’Australia? Sì, ci sono prima i supplementari, ma oggi l’Italia sembra non poter segnare mai. E ai rigori poi, si sa, l’Italia perde sempre. E anche Totti, sta perdendo. Perde tempo, con il pallone fra i piedi, lì nel cerchio di centrocampo che sembra diventato una specie di terra di nessuno, non sa se andare di là o di qua. Ci mette undici secondi a girarsi su se stesso, Francesco Totti, non so se una, due volte perché l’inquadratura stacca su Gattuso che dice qualcosa all’arbitro, poi ritorna su Totti che sembra non saper proprio che farsene, di quel pallone che, in quel posto lì, nel cerchio del centrocampo, a trenta secondi dalla fine, è nel posto più inutile al mondo. Va di qua e di là, Francesco Totti, e noi che guardiamo siamo rassegnati anche se dài dài dài esce dai denti stretti di tutta la nazione, perché è vero che alla fine, quando ci sono i mondiali ci sono solo i mondiali, soprattutto adesso, poi, che il referendum ha affossato il rubicondo e sgrammaticato ex ministro leghista e la sua riforma e porca miseria, andare avanti in questo mondiale quanto bello sarebbe. Dài, dài, dài, sì, e tra un po’ arriverà il fischio, fine. Ma un calciatore lo sa bene. Francesco Totti lo sa che, arrivati a questo punto, qualcosa devi tentare. E al novantaduesimo e quaranta secondi, Totti, di sinistro, fa uno di quei lanci che solo lui può e riesce a fare. Cinquanta metri, quasi tre secondi ci mette il pallone per arrivare sull’out sinistro, dove Fabio Grosso fa uno stop a seguire e si invola, il telecronista, al novantaduesimo e quarantaquattro, quando Grosso con un tocco all’interno di sinistro scavalca il numero 23 dell’Australia, dice che c’è ancora spazio per un traversone, che Grosso però non fa. Va avanti lui, entra in area di rigore, va ancora di più verso il fondo, e quando il numero 2 dell’Australia gli si fa incontro, Fabio Grosso cade. È il novantaduesimo e cinquanta secondi, quando l’arbitro indica il dischetto, io, mio padre, mio fratello, e anche mia madre, urliamo rigore coprendo la voce del telecronista che sta urlando la stessa cosa, coprendo con il nostro urlo tutta la nazione che in questo momento è solo quell’urlo lì che poi improvviso, si dissolve in un sussurro. Chi lo tira. Pirlo, Totti, chi? È il novantatreesimo e trentaquattro secondi quando la telecamera, dopo alcuni replay, dopo aver inquadrato un’australiana in lacrime sugli spalti, torna sull’area di rigore e lì, sul dischetto, c’è Francesco Totti, che ha ancora una placca di metallo dentro la caviglia sinistra, operata lo scorso febbraio. Al novantatreesimo e trentanove secondi l’arbitro consegna il pallone a Totti. Il telecronista dice che se questo è il mondiale di Francesco Totti, questo è il momento. Mio fratello si alza e se ne va. Mezza Italia, quella che di calcio ne capisce, sta ripetendo dentro di sé come un mantra speriamo che non faccia il cucchiaio, speriamo che non faccia il cucchiaio, speriamo che non faccia il cucchiaio. La partita è già finita. Nel senso che Francesco Totti può solo segnarlo il rigore. Se il portiere lo respinge non sarà valido prendere la ribattuta. C’è solo il tiro. Al novantatreesimo e cinquantaquattro la telecamera va sul volto di Francesco Totti che sta facendo un profondo respiro. Si avvicina, la telecamera, in un primo piano sempre più stretto, fino a quando inquadra un sorriso. E uno sguardo che dice sì… Mai visto nessuno, penso, sorridere all’arbitro mentre sta per prendere la rincorsa. E invece deve andare a spostare il pallone, Totti, leggermente più in là rispetto al dovuto. Interruzioni della drammaturgia che possono essere fatali, che prolungano l’apnea dell’ansia, che disinnescano la concentrazione, anche se Francesco Totti ha appena tirato un altro respiro profondo. Mentre la telecamera lo riprende di spalle tornare indietro, uno stacco. Gianluigi Buffon, il portiere, dall’altra parte del campo si è girato verso gli spalti, ha voltato le spalle alla scena, come mio fratello. Novantaquattro e undici. La telecamera adesso è strettissima sul volto di Totti, che sbuffa, guarda il pallone, si passa la lingua sulle labbra come fai quando stai per prendere una decisione, sbuffa di nuovo, stacco su un tifoso azzurro con le mani giunte davanti al viso e un ridicolo cappello tricolore sulla testa e quando torna su Totti, la telecamera adesso è sugli occhi di Francesco Totti. Non ricordo di avere mai visto uno spettacolo del genere. Il mondo intero sta guardando negli occhi Totti che sta per tirare il rigore più importante della sua vita. Guarda fisso il pallone per qualche secondo, poi, novantaquattro e diciannove, lo sguardo vira leggermente all’insù, questione di millimetri credo, guarda il portiere negli occhi. Io guardo lo sguardo di Francesco Totti e penso lo segna. Si volta per un momento verso l’arbitro che ha fischiato, un gesto che non mi aspettavo e che fa vacillare la mia convinzione precedente ma non c’è tempo. Totti è già partito, ha già tirato, ha già piazzato il pallone, calciato di destro, alla destra del portiere dell’Australia. Una nazione che oggi ha cancellato l’idiozia di un rubicondo e sgrammaticato ex ministro leghista e che ora è soltanto un urlo. Un monosillabo. Gol.