iPhone, dieci anni dopo
In questi giorni lo stanno celebrando tutti. Io l’ho fatto nel corso degli anni, più volte. Nei miei libri, sui giornali, e poi ogni giorno, fra le mie mani. Come adesso, mentre digito sul display dell’iPhone, a bordo di un vaporetto che sta per attraccare all’imbarcadero delle Zitelle, alla Giudecca, queste righe. E come stanno facendo almeno una dozzina di persone attorno a me, anche se non tutti lo fanno sul display di un iPhone. Ma è comunque Steve Jobs, che dovrebbero ringraziare, che stiano giocando alle caramelle o leggendo Guerra e pace, poco importa. Ma credo che pochi di loro ne siano consapevoli. (“Mamma mi presti il telefonino che devo guardare una cosa su Youtube?”, ha appena chiesto una bambina due file più avanti). Così, ieri sera sono andato a tirar fuori da un cassetto il primo modello, proprio quello del 2007, che si chiamava soltanto iPhone, diventato poi per comodità 2g, e che mio fratello aveva comprato negli Stati Uniti (il primo modello uscì soltanto lì, e aveva un sistema bloccato, inutilizzabile altrove). Per i primi mesi lo guardammo, inutile ma bellissimo. Poi quando Geohot, l’hacker che per primo trovò il modo di sbloccare l’aggeggio, rese pubblica la procedura (bisognava aprirlo e saldare con la perizia di un gioielliere alcune parti), un amico di mio fratello seguì passo passo le istruzioni, e per il mio compleanno ricevetti in regalo il primo smartphone della storia. E non ne feci più a meno. Alcuni amici dissero (parole testuali): è una puttanata. Io replicai con un sorriso e, in dieci anni, sul display dell’iPhone ho scritto post per questo blog, articoli per vari giornali, lunghi passaggi dei miei romanzi, letto libri, scattato migliaia di foto, disegnato, visto film. Mi verrebbe da dire: vissuto. Vissuto una dimensione nuova, e ancora per molti poco chiara, della mia vita. Può sembrare esagerato, ma è così. E chi mi conosce sa benissimo quanto io ami scrivere con le penne stilografiche, su quaderni e taccuini, quanto ami il gesto della scrittura, della calligrafia. Ma sono sempre stato convinto che tutto quel che la tecnologia può fare per agevolare il mio mestiere, è il benvenuto (e allora queste mie parole devono valere altrettanto per l’iPad, sul quale dal 2010 lavoro quotidianamente, scrivo, leggo i giornali, eccetera).
Concludo incollando qua sotto un articolo che scrissi per il Corriere della Sera nel settembre 2013, in occasione dell’uscita dell’iPhone 5s.
Dei pazzi. Come altro considerare uno (ben più d’uno) che si mette in viaggio, verso la Francia in questo caso, e fa la coda fuori da un negozio addirittura qualche giorno prima del momento fatale? È quel che capita puntualmente dal 2007 a tanti possessori di iPhone. Fu un’intuizione di Steve Jobs, una delle tante, la meno tecnologica, la più geniale dal punto di vista del marketing. Già: come far parlare per giorni dell’evento un po’ ovvio dell’uscita di uno smartphone, per quanto bello, rivoluzionario o, meglio, visionario? E farne parlare senza sborsare un centesimo? Reinventando uno degli aspetti più frequenti e noiosi della nostra quotidianità: l’attesa. Ieri è uscito il nuovo iPhone, anzi due, il 5C e il 5S. L’Italia anche questa volta è stata inserita nella seconda fascia, perché centellinare i luoghi di uscita del nuovo modello fa parte della strategia. Chissà quanti sono, in questi giorni, gli italiani in coda per l’ambìto aggeggio tecnologico. E per cosa poi? Per un modello di passaggio, che presenta poche novità rispetto al precedente, uscito fra l’altro meno di un anno fa. Già vecchio e addirittura ancora in garanzia. E non c’è crisi che tenga, pare. Se ascoltate le interviste a chi sta in coda fuori dagli Apple Store in questi giorni vi rendete conto che ci sono studenti, impiegati, gente qualunque. Che sa già tutto di quel che sta per acquistare, e allora potete sentirli discutere di come funziona il riconoscimento attraverso l’impronta digitale e del numero di pixel della nuova macchina fotografica. Nemmeno la sorpresa, dunque. E allora? Dei pazzi? Be’, per chi si disinteressa a queste cose, per chi non molla il suo telefonino che si apre a conchiglia, con quel display minuscolo, e che controlla le email solo in ufficio, sì, per uno così quelli in coda a Parigi per il nuovo iPhone sono dei matti da legare. Forse, però, sono invece i battistrada di una nuova grammatica – già presente – un modo diverso di stare al mondo, di informarsi, di leggere, di comunicare. Migliore? Diverso, per ora. Poi, però, dopo la coda e il nuovo iPhone in mano, meglio fare finta di non guardarlo, lo scontrino.