Venezia, le perle fucsia sbiadiscono. 

Questo mio articolo è uscito martedì 11 ottobre 2016 sul Corriere del Veneto. Mi rendo conto, rileggendolo, che erano anni che non riuscivo a trovare un tono e dei motivi per essere ottimista riguardo la mia città, Venezia. Spero si tratti di dati di fatto evidenti e non di uno stato d’animo passeggero.



Sembra che qualcosa stia cambiando, finalmente, a Venezia. Che si intraveda una – pur piccola – inversione di rotta. Dopo un’estate di immagini sui media che facevano vergognare ogni residente sensato, che mostravano una città così decadente che la Venezia di Thomas Mann (quella del romanzo Morte a Venezia o del film omonimo di Visconti), a rileggerla, sembrava un posticino svizzero. In questa linea sottile, che un momento prima ci fa precipitare verso un abisso senza fine, e un momento dopo anche, pare si stiano insinuando delle oasi non di resistenza, no, ma di pura e semplice quotidianità. E sono tanti gli esempi: da chi ha deciso (ancora pochi, purtroppo) che le case si danno in affitto prima di tutto ai residenti, da chi (la municipalità di Venezia) sta invitando i cittadini di tutti i sestieri a riappropriarsi di calli e campielli, organizzando per strada incontri, ritrovi, cene collettive, da chi (la generazione dei novanta) ha proposto quella festosa marcia dei carretti della spesa, da chi (il gruppo 25 aprile), sta dando vita all’iniziativa chiamata “Venezia è il mio futuro”, che è giusto l’opposto della Venezia-museo che sembra sempre più ineluttabile, più reale. Ci sono insomma dei veneziani che hanno deciso di dimostrare al mondo intero che questa è una città ben viva, vivace, consapevole di sé.

Una città con sempre meno residenti, certo, ma fra loro ce n’è dunque un bel po’ con le idee chiare di come si voglia e si possa abitare Venezia come un qualunque altro luogo del mondo e non come se vivessimo di continuo dentro a una cartolina. Il più evidente di questi segnali c’è stato domenica 25 settembre, alle Zattere, quando almeno duemila persone si sono avvicendate nel corso di un intero pomeriggio e buona parte della serata per dire no alle grandi navi e sì a tanti altri punti cruciali per la Venezia di oggi e di domani. Non si era mai vista una partecipazione tanto numerosa e intensa e, soprattutto, convinta. Il giorno dopo ne ha parlato il mondo intero. Il culmine simbolico è stato toccato poco dopo il tramonto, mentre Eugenio Finardi cantava Extraterrestre, portale via, intese come grandi navi. E, come ogni sceneggiatura che si rispetti, è stato proprio in quel momento che, salpata dal porto di Venezia con oltre quattro ore di ritardo, è apparsa enorme, spropositata, alle spalle del palco, l’ennesima “Costa qualcosa”. Ne è scaturita un’immagine che non esito a definire epocale, con la voce di Finardi che gridava in forma rock “No, no, le grandi navi no”. Immagini che hanno fatto il giro del mondo.

Sì, a Venezia sembra che qualcosa stia cambiando, nonostante ci siano poi i soliti segnali contrari. Basta infatti essere costretti per un motivo o per l’altro a dover attraversare in un giorno qualsiasi la zona di San Marco, per essere smentiti. O individuare, giorno dopo giorno, un nuovo hotel, un nuovo ristorante, un nuovo negozio di borse gestito da cinesi, un nuovo bar ultra chic. Passi di là, vedi questi mutamenti (queste involuzioni), e sembra non esserci speranza. E invece no, e suona strano ribadirlo oggi, giorno dell’apertura del centro commerciale del lusso nell’ex palazzo delle poste, dove eravamo in tanti, veneziani, ad attraversare la città per andare lì a pagare le bollette: la bellezza di quel posto raddolciva l’esborso. 

Qualcosa sembra stia cambiando, a Venezia. Lentamente e in maniera quasi invisibile. Forse è inutile. Forse è troppo tardi. Oppure magari no. Magari potremmo farcela, alla fine, a rivendicare la nostra città, riuscendo a farla a vivere a tutti, residenti e visitatori, come dovrebbe essere: una città, non una cartolina.