In Piazza San Marco

Ho scritto questo, dalla Piazza San Marco del 24 novembre 2015. Pubblicato il giorno dopo sul Corriere del Veneto.

 

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La prima giornata di sole vero, intenso, dopo un paio di settimane di grigio ininterrotto. Un freddo pungente ma finalmente senza l’insopportabile umidità lagunare. E poi quei pochi centimetri di acqua alta che trasformano la superficie di Piazza San Marco in una lastra lucida, meravigliosa, dove la bellezza della città raddoppia. Venezia ieri non ha fatto mancare nulla a Valeria Solesin, nel giorno del suo saluto, compresa una folla composta e partecipe. Poco dopo le nove c’è già la coda a uno degli accessi alla Piazza, ma si tratta di una comitiva di giapponesi cui il poliziotto suggerisce un percorso alternativo, perché ancora non si può accedere, un po’ per l’acqua alta, un po’ per i controlli degli artificieri, un po’ perché la Rai stava facendo le prove per la diretta. Tre quarti d’ora dopo, l’entrata dal lato di Palazzo Ducale è agevole, senza alcun controllo. E ci sta, questa delicatezza, questa militarizzazione discreta, quasi invisibile. Ci sta, accanto ai funerali civili, aperti a tutti e soprattutto a ogni tipo di credo, così come ha voluto la famiglia di Valeria. Così la gente incomincia a riempire poco a poco Piazza San Marco, e si dispone non come indicano le transenne, cioè dentro ai settori prestabiliti, ma come obbliga la marea, costeggiando allora le larghe piscine, in attesa del deflusso delle acque. Che alla fine arriva
e fa ritardare di solo cinque minuti l’inizio. Fin lì, pochi i commenti, riservati solo alla temperatura rigida e all’acqua che sembra non voler scendere. Poi, l’annuncio dell’arrivo del Presidente della Repubblica mette fine a ogni tipo di brusio. Mattarella arriva accolto da un silenzio assoluto che rimarrà inalterato per più di cinque minuti, fino all’arrivo della bara, salutato con la sirena di una motonave.

Se i controlli sono stati soft, il cerimoniale è invece rigido, e in piazza non ci si può muovere, ognuno deve occupare il proprio settore. Soltanto alla fine, allora, girandomi, capirò quante persone ci fossero dietro di me, scolaresche, tante, alcune in gita a Venezia, una classe con una rosa bianca in mano a ciascun studente. Anche nel deflusso scombinato verso le nostre destinazioni, traspare il silenzio, un silenzio che immagino pieno di echi interiori, dove risuonano le parole ascoltate poco prima, quelle delle istituzioni, sempre un po’ fredde, retoriche, quelle del padre di Valeria, così intense, così semplici, lucide, sagge. Mi sono guardato con la signora che mi stava accanto quando lui ha detto “in questi giorni acerbi”, e anche in quell’aggettivo stava tutta la compostezza che la famiglia Solesin ha dimostrato in queste giornate terribili. E poi le parole degli amici di Valeria, ragazzi come lei, che studiano all’estero, amici che le assomigliano, impegnati anch’essi a costruirsi un futuro fatto di studi appassionati, di altruismo, di tanto buon senso. Nel silenzio del deflusso, sono quelle parole a risuonare dentro ciascuno di noi. Sono quelle parole che ci portano a schivare microfoni di radio e televisioni che domandano un parere, un pensiero, perché the show must go on. I veneziani le schivano, con garbo e agilità. Poi qualcuno si ferma, e speriamo lo dica, dica che da questa Piazza si esce con la consapevolezza che la generazione dei ragazzi uccisi a Parigi è una generazione su cui possiamo fare affidamento. Un’elite, forse, ma che, come Valeria e i suoi amici, come i ragazzi del Bataclan e dei bistrot, può davvero condizionare il mondo, renderlo migliore. Questo abbiamo sentito, ieri, restando silenziosi in piazza, applaudendo la determinazione e la veemenza delle parole del rappresentate dell’Unione delle Comunità Islamiche, che ha condannato il terrorismo, e lo ha fatto a gran voce, e ne percepivi anche in mezzo alla piazza la sincerità, la nettezza, e allora, poco dopo, nel silenzio del deflusso, veniva da ringraziarla, la famiglia Solesin, per averci permesso di sentire la viva voce dei veri islamici, che nulla hanno a che vedere con il fanatismo, con la violenza, col terrorismo.
È stata una lezione per tutti, quella di ieri in Piazza San Marco, una lezione che continua dal 13 novembre scorso, perché i terroristi hanno proprio sbagliato bersaglio. Hanno dato voce eterna ai ragazzi dei bistrot e del Bataclan, ci hanno fatto ascoltare le loro storie, ci hanno fatto conoscere il loro entusiasmo, la loro passione, la loro ostinazione nel lottare per un mondo migliore. Come gli amici di Valeria. Questo ci siamo portati a casa ieri.
Eravamo andati a rendere omaggio a Valeria Solesin. È stata lei, invece, ancora una volta, a regalarci qualcosa. Che cercheremo di usare nel miglior modo possibile. Come faceva lei.