Perle fucsia 4. Intellettuali da strapazzo.
Non so se il sindaco stavolta mi darà dell’intellettuale da strapazzo, o se mi appioppierà una casacca, o se ripeterà che tanto Venezia è stanca di leggere i miei articoli, o altre finezze che mi ha attribuito e con cui è solito etichettare chi non la pensa come lui. E mi dispiace non avere il doppio cognome, come Gianni Berengo Gardin, o Ilaria Borletti Buitoni, perché sarei lusingato di sentirmi dare del solone, perché forse il sindaco non sa chi era Solone. Mi piacerebbe però se ne stesse in silenzio, questa volta, accettasse questa mia critica e la sovvertisse nell’unico modo possibile: coi fatti, dimostrando a tutti di essere davvero il sindaco di tutti e, soprattutto, di essere adeguato a un ruolo enorme qual è quello di sindaco di Venezia.
Questo articolo è uscito su il manifesto del 26 agosto 2015. Quotidiano comunista, lo sottolineo per togliere subito uno dei possibili epiteti fra quelli sfoggiati in queste settimane dal sindaco di Venezia. Che mi lusingherebbe comunque, visto il vero significato della parola comunismo.
Domenica 2 agosto 2015 ho avuto uno scambio di tweet con il nuovo sindaco di Venezia. Avevo osato criticare alcuni suoi atteggiamenti – e sottolineo atteggiamenti, non scelte politiche – in un articolo al quale lui ha reagito con un aplomb non proprio all’altezza della carica istituzionale che riveste. Sono stato una delle sue prime vittime, poi è toccato a Berengo-Gardin, a Celentano, a Gian Antonio Stella, a Elton John, a Michele Serra. Devo confessare che non è affatto piacevole avere il sindaco della tua città che ti sbeffeggia su twitter, che ti incalza e che, velatamente, ti minaccia attraverso delle frasette, seguite da emoticon adolescenziali.
Non è piacevole, perché questa veste di opinionista e commentatore la ricopro da qualche decennio – ho la stessa età del sindaco –, prima sulla Nuova Venezia, poi sul Gazzettino e ora, dal 2008, sul Corriere del Veneto, e sono sempre stato abituato a ricevere – eventualmente – delle repliche argomentate tanto quanto i miei interventi. Sì, perché prima di mettermi a scrivere un articolo ci penso sempre a lungo, come si deve fare in questi casi, ne discuto con il direttore del giornale e con altri colleghi, giornalisti e scrittori. Del resto, sono delle riflessioni, e ce lo insegnano fin dalla scuola elementare quale sia il procedimento mentale di un intervento scritto di questo genere. So che sto dicendo delle ovvietà, ma di fronte a una persona, il nuovo sindaco di Venezia, che sembra digiuno da qualunque abbecedario riguardante questa materia e non solo, mi ritrovo costretto a puntualizzare, a chiarire cose davvero elementari. Ma pare necessario, oggi, a Venezia.
Dico “eventualmente ricevo delle repliche” perché è ovvio che quasi mai un rappresentante delle istituzioni se ne sta lì a replicare, ha cose ben più importanti cui occuparsi e sa che la critica al suo operato sta nell’ordine delle cose. Da sempre. A volte, poi, la critica è vista come sprone, come spunto per un dibattito. Forse, questi suoi comportamenti sono la conseguenza naif, e perciò involontaria, di un senso di inadeguatezza. Entrato in competizione all’ultimo momento, una campagna elettorale – color fucsia – faraonica, tipica dell’ennesimo imprenditore “sceso in politica”, egli si è ritrovato a vincere per la manifesta incapacità del Pd locale. Ha vinto dunque senza crederci, forse, e ora è alle prese con una cosa che gli è del tutto estranea, troppo complessa e che lo fa agire in questo modo. Forse. Ma anche se così fosse, è stato in ogni caso spiacevole e doloroso ritrovarmi a dover replicare a dei tweet quanto meno indelicati a me indirizzati dal nuovo sindaco. Il disagio nel vedere svilito e banalizzato il mestiere mio e di altri, è stato profondo.
Ma soprattutto, ciò che fa più male è vedere ridicolizzato e svilito il ruolo di sindaco. Venezia non può avere come guida uno che – lo scrivo come lo direbbe lui – “butta tutto in vacca”. Uno osa criticarlo e lui – subito – lo sbeffeggia, lo deride. Sembra starsene sempre lì, con lo sguardo in agguato sul display del suo smartphone, il nuovo sindaco di Venezia. Eppure ne avrebbe di altre cose da fare nel corso delle ventiquattr’ore, e ben più importanti, decisive, faticose. Con i suoi immediati e stentorei cinguettii, egli frantuma sul nascere ogni ipotesi di dialogo, di confronto. Un paio di tweet pieni di faccine e via, tirandosi dietro i suoi pasdaran fucsia, sempre pronti a schierarsi al suo fianco, nei commenti, iterando ed esasperando la derisione. In questo modo, il nuovo sindaco di Venezia non solo dà la peggiore immagine possibile della città, ma sta istituzionalizzando delle pratiche populiste forse mai viste prima, fondate sulla pochezza di idee e di cultura istituzionale. E il paradosso è che non si tratta, per ora, di politica: l’inadeguatezza sembra umana (tu guarda a volte il destino delle parole…). Almeno, lo ripeto, per ora, vedi mai che con il tempo e l’esperienza…
Ma la saggezza e il buon senso, non sono cose che si comprano, anche se sei pieno di soldi. Così, con manciate di tweet al giorno, il nuovo sindaco dà l’immagine di uno che crede di aver acquisito l’ennesima aziendina – e non la città più bella e amata del mondo – e volerla gestire come gli pare, con regole stravaganti, con una visione complessiva assai limitata, basata su divieti e censure. Non a caso non fa che ripetere “la mia città”, “la mia Venezia” e qualcuno glielo dirà prima o poi, che la carica di sindaco non implica la proprietà del territorio, ma solo una delega che i cittadini gli hanno dato. Qualcuno gli insegni a dire: la nostra città. Di tutti, anche di quelli che non lo hanno votato (fra l’altro qualcuno dovrebbe ricordargli fra l’altro che è stato eletto con 54.000 voti su 211.000 aventi diritto e questo dovrebbe comportare una dose massiccia di umiltà e di basso profilo).
Di fronte a tutto ciò, non può che scattare la critica, con la consapevolezza, sia chiaro, di poter essere smentiti e contraddetti immediatamente. Lo sappiamo bene e, ogni volta, siamo pronti al confronto. Ma a essere derisi, no. Per questo, di fronte alla banalità, al dileggio sciocco, verrebbe da opporre il silenzio. Perché ti senti annientato davanti a chi spernacchia il tuo pensiero, a chi ti fa la battuta in dialetto e alla quale non puoi più opporre nulla, perché è già partita l’onda (un’ondina, a dire il vero), fatta di “bravo sindaco, faghea veder” e altri slogan in pure stile calcistico, come quel “ghea podemo far”, utilizzato dal sindaco anche in coda al tweet che annunciava le bandiere a mezz’asta per l’uccisione di Khaled al Assad, con un effetto stridente e a dir poco imbarazzante. Ecco, è questo, in sintesi, il nuovo sindaco di Venezia, uno che dovrebbe guidare con saggezza la città più bella e amata del mondo. Un mondo che si è già accorto quanto egli sia – forse suo malgrado – inadeguato a questo ruolo. Perché a tutti – tutti – qui a Venezia e nel mondo, piacerebbe avere un sindaco che ce la può fare davvero, uno capace almeno di provare a risolvere i mali della nostra città, senza censure.