Lo sperpero fucsia
Mancano pochi giorni alle elezioni. Venezia sceglierà il proprio sindaco. Il Veneto il nuovo presidente della regione. E intanto qualcuno ha fatto campagna elettorale come se niente fosse, come se l’Italia stesse ancora nei fulgidi – e finti – anni ’90, e non invece, dentro a una crisi senza fine. Delle campagne elettorali immorali, inaccettabili. Questo mio articolo è uscito sul Corriere del Veneto il 21 aprile 2015.
Non serve evocarla, ogni volta, la crisi economica in atto. Ne portiamo tutti i segni, evidenti, dentro di noi. Chi più, chi meno. Questi anni così difficili, così duri e dolorosi e che sembrano non avere fine, oltre a difficoltà, durezza e dolore, avrebbero comunque dovuto, alla fine, fortificare aspetti che da tempo trascuravamo: una maggiore attenzione ai valori, a ciò che veramente conta in una vita. A questo servono – anche – i momenti di crisi: a fare chiarezza in noi stessi. In tutti noi. Invece, lo sappiamo bene, ci sono categorie che sembrano non essere state nemmeno sfiorate da tutto ciò. Una in particolare, quella che avrebbe dovuto portarci fuori da questa crisi. La politica. Soprattutto quella locale. Quella che in alcuni casi ben precisi, isolati ma eclatanti, oggi, in piena campagna elettorale sta mostrandondo (e confermando), come se niente fosse, la sua solita faccia (nel vero senso della parola). Per alcuni candidati – a presidente (uscente) della regione e a sindaco del comune di Venezia – sembra che nulla sia successo. Ci troviamo di fronte alle faraoniche, opulente campagne elettorali stile anni novanta, del tutto irrispettose verso i cittadini in crisi. Siamo invasi da manifesti, da volantini, e da tutti gli annessi e connessi. Un’esagerazione che nasconde in maniera evidente la mancanza di contenuti, di progetto, di cultura, cultura sia in senso generale che politico. Qualcuno, imprenditore di successo e che sottolinea la sua estraneità alla politica, facendosene vanto, quando fai notare le spese faraoniche ti risponde: sono soldi miei, faccio come mi pare. Ricorda qualcuno sceso in campo negli anni novanta, no? Sacrosanto, comunque, certo. Solo che in un momento in cui fatichi a pagare le bollette, ti viene il nervoso quando insieme a quelle, ricevi una lettera personale, una per ogni componente della famiglia, dove il tizio, chiamandoti per nome, ti chiede il voto su un foglio di carta pregiata e a colori. E ti secca ancora di più quando, quello stesso candidato, apre sette sedi in giro per il comune (tutte colorate di fucsia, come il Partito dell’Amore di Cicciolina e Moana Pozzi, forse qualcuno avrebbe dovuto informarlo), o quando riempie coi suoi vuoti slogan pagine su pagine di giornali, oppure quando vedi la sua faccia trionfare su ogni cestino della città (e qui lo slogan ha pure un vago tono razzista, perché si incomincia con i “privilegi per appartenenza” e poi si arriva sappiamo dove).
Soldi privati, dunque, sì, ma pur sempre valanghe di soldi, in un periodo dove invece sentiamo il bisogno di candidati umili, sensati. E ce ne sono, per fortuna. L’opposto dell’avidità. Ne vediamo in giro anche troppa fra chi, da candidato, è diventato sindaco o assessore. In Veneto e non solo. Un’avidità, un cinismo e, soprattutto, un senso di onnipotenza e di impunità che nulla hanno a che fare con il compito che gli elettori avevano loro affidato. È chiaro, non ne possiamo più di gente del genere. Noi cittadini siamo esausti, certo, anche se poi dimostriamo spesso un enorme talento nel scegliere – male – i nostri rappresentanti. E allora basta con queste campagne elettorali faraoniche, basta denaro buttato al vento, soprattutto se pubblico. Un po’ di sano pudore, per cortesia, e di rispetto per noi cittadini. E noi cittadini, infine, apriamoli bene gli occhi, una volta per tutte.