Cortazar, oggi
Il 12 febbraio 1984 moriva a Parigi lo scrittore Julio Cortázar. Uno dei suoi libri più strani e belli è questo, scritto insieme a sua moglie, Carol Dunlop. Nell’agosto dello scorso anno l’ho recensito per La Lettura, il supplemento del Corriere della Sera.
Meglio dirlo subito. Gli autonauti della cosmostrada (ovvero un viaggio atemporale Parigi-Marsiglia), scritto a quattro mani da Carol Dunlop e Julio Cortazar, pubblicato da Einaudi, è una delle più belle, toccanti e invidiabili storie d’amore che possa capitarci di leggere. Un libro vero, sincero, semplice, assoluto, definitivo, leggero. Una storia d’amore che non ha come sfondo spiagge dorate e mari blu cobalto, e nemmeno il verde profumo lavanda della Provenza, che peraltro i due protagonisti attraverseranno. Lo sfondo è il grigio dell’asfalto dell’autostrada e dei parcheggi delle aree di sosta, Parkingland, come la chiamano loro, e l’odore (però a sua volta profumo, alla fine) è quello inconfondibile di auto e camion. Difficile pensare all’autostrada come luogo del viaggio. Del viaggio vero, e non luogo di transito veloce verso una meta definita, come naturalmente ci viene da pensarla, e come da sempre la utilizziamo. Per cos’altro è stata inventata, del resto? Ci volevano due scrittori per dimostrarci il contrario. Una coppia di scrittori, marito e moglie – sessantotto anni lui, trentasei lei – Julio Cortazar e Carol Dunlop, e un furgoncino, diventato oggi una delle icone di un’epoca, magnete da appendere al frigorifero, portachiavi, accendino.
Un Volkswagen Combi rosso, ribattezzato Fafner, come il drago guardiano del tesoro dei Nibelunghi. Un diario di viaggio, lo definiscono gli autori, un mese nelle aree di sosta dell’autostrada che da Parigi porta a Marsiglia. Due soste al giorno, per brevi, spesso brevissimi tratti di autostrada, pernottamento sempre nella seconda area di sosta, dal 23 maggio al 23 giugno 1982. Un gioco, all’inizio. E, come ogni gioco, scandito da regole precise. Resoconti dettagliati – “scientifici” – delle giornate, ma anche racconto, reportage, album fotografico, completati dai disegni del figlio adolescente di lei, ricostruiti a posteriori in base ai loro racconti. Dunlop e Cortazar nel ruolo di esploratori di qualcosa di inesplorabile per definizione, perché cosa mai potrà venir fuori da un’autostrada e dalle sue aeree di sosta? E si parte allora, organizzatissimi, con amici pronti a fare da supporto tecnico, whisky e vino, e il presidente della società autostrade che ignora una loro richiesta di autorizzazione, ché è vietato stare più di ventiquattr’ore dentro un’autostrada, ma basterà ai caselli dire di aver perduto il biglietto. Unico contatto con il mondo, un piccolo transistor a onde corte, perché quelli sono i giorni della “stupida guerra delle Malvine”, come la definisce Cortazar, argentino, che ogni tre o quattro ore ascolta gli aggiornamenti. Staccheranno da tutto, dunque, e partiranno. Un viaggio impensabile, oggi, fra telefonini, gps e antifurto satellitari, oggi che ciascuno di noi è rintracciabile ovunque. Oggi che siamo distratti in ogni momento, e che di un viaggio del genere faremmo il resoconto in tempo reale, su blog e social network, monitorati dal mondo intero, esibendoci al mondo intero, mentre Carol e Julio, invece, arrivano nelle aeree di sosta – che spesso sono di una bellezza assoluta, immerse in vere e proprie foreste – e trasformano Fafner in una casetta di campagna, sedie e tavolino all’ombra e macchine per scrivere, quaderni, fogli, stilografiche e la Canon di lei, che è anche fotografa. Sì impensabile, oggi. Eppure, pagina dopo pagina di questo libro, di questo diario a quattro mani, guardandone le foto, nel lettore monta il sentimento di assoluto che queste pagine portano con sé. Le due scritture si compenetrano, si fondono, si amano, come i loro protagonisti, sono coppia e perciò uniche, raggiungono quella stessa perfezione alla quale anche i loro corpi devono obbedire per potersi muovere, gestire e amare dentro allo spazio ristretto ma piacevole di Fafner. E così ogni ostacolo, ogni difficoltà, ogni fastidio, ogni rumore, insopportabili in altre circostanze, dentro al viaggio e alle pagine di questo libro diventano puri elementi dell’esplorazione, materiale poetico, addirittura necessario. Un viaggio, un gioco e qualcosa di più. Molto di più. Questo viaggio è un canto d’amore lungo ottocento chilometri e trentatré giorni e sessantacinque aree di sosta e trecentosessantatre pagine. Un sentimento che si impossessa dello spazio e dilata il tempo, che trasforma un non luogo nel posto perfetto della condivisione assoluta, e alla fine del libro, nonostante tutto, nonostante un destino terribile in agguato raccontato da Cortazar in un post scriptum, il lettore prova una profonda invidia verso i due protagonisti. Un’invidia che si può battere subito, facilmente, perché il viaggio degli autonauti nella cosmostrada lo possiamo reinventare ogni giorno, nelle pagine della nostra vita. Possiamo fare come Carol e Julio, inventarci la nostra cosmostrada e diventare gli autonauti della nostra vita e dei nostri sentimenti. Inventarci un viaggio assurdo e semplice, magari senza neanche muoverci. Darci delle regole, e partire, insieme. Oppure, ancor più semplicemente, leggerlo insieme, in coppia, questo libro. Condividerlo per condividere e vivere il viaggio. Viaggio di lettura, in questo caso. Per provarlo allora anche noi, alla fine, il “crescendo di felicità e di amore da cui siamo usciti così colmi che niente, dopo, nemmeno in viaggi incredibili e in ore di perfetta armonia, ha potuto superare questo mese fuori dal tempo, questo mese interiore in cui per la prima e ultima volta abbiamo saputo cosa fosse la felicità assoluta”.
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