Questo articolo è uscito il 15 luglio 2012 sul supplemento domenicale La Lettura, del Corriere della Sera.

C’è tutto di lei dentro a quella manciata di minuti, verso la fine di
Paris,Texas, il film di Wim Wenders. Una giovane donna, capelli biondo platino, dentro a uno strano peep show, prostituta “oftalmica” che ascolta, attraverso un telefono, un uomo più vecchio di lei raccontarle una storia, la loro storia. Sono separati da anni e ora li divide soltanto uno specchio senza foglia: lui la vede e parla, lei si vede e ascolta. È un lungo, silenzioso, lento primo piano di lei che lentamente si riconosce nelle parole fuori campo del suo ex compagno. Poi, alla frase: «Vivevano in un camper», il rimmel prima si inumidisce, e poco dopo annerisce le sue lacrime. Da lì incomincerà un nervoso tormentarsi i capelli con le mani, gli occhi diventeranno sempre più umidi e scuri, la bocca e la fronte si piegheranno in un’angoscia sempre più intensa, liquida, seducente. In quella sequenza c’è tutta Nastassja Kinski. C’è la Mignon quindicenne leggera, silenziosa e sensuale di
Falso Movimento, e la matura e magica Raphaela, angelo con le ali di
Così lontano, così vicino. C’è la Kinski del
Bacio della Pantera e di
Maria’s Lovers. E c’è un pezzo importante dell’immaginario di quella parte – minima – di generazione che ha gli stessi anni di Nastassja Kinski, cinquantenni cresciuti insieme a lei, che hanno cercato di imparare il mondo attraverso la cinepresa di Wenders, e capito che bellezza e emozioni sono sinonimo continuo di rincorsa. Alla ricerca di Nastassja Kinski, sempre lontana, sempre con uomini più vecchi di lei, anche nella realtà. Oggi lontana anche dal cinema, e da noi, quel piccolo pezzo di una generazione che mai riuscirà a raggiungerla.