I fuoricorso universitari, una risorsa
Questo mio editoriale è uscito martedì 17 luglio 2012 sul Corriere del Veneto.
Si avvicinano alla cattedra con passo circospetto, con una gestualità e un’espressione diversa da chi sta per chiederti un’informazione sulla bibliografia o di come si svilupperà l’esame. Chiedono scusa, e poi confessano come se si trattasse di un segreto. A volte nemmeno ti dicono subito quale sia l’impedimento. Ti dicono solo che avranno qualche problema a frequentare tutte le lezioni e allora devi chiederglielo tu il perché. Lavoro, rispondono, ma sempre con un certo imbarazzo. Questa è la condizione dagli studenti-lavoratori, oggi, nell’università italiana. Come se non si trattasse di un impedimento nobile, da ammirare, ma di un ostacolo fastidioso da tenere celato per non alterare l’armonia delle lezioni. È stupefacente come l’università italiana sia involuta nel corso del tempo, gli studenti-lavoratori abbandonati, ignorati. Negli anni ottanta e novanta erano tenuti nella giusta considerazione. Avevano dei corsi dedicati. E quella scelta, quell’ostinazione a voler studiare nei momenti lasciati liberi dal lavoro, era ammirata da tutti. Non solo. Spesso, molto spesso, erano i più bravi fra noi, gli studenti lavoratori. Più seri, più motivati. Si imbarazzavano solo quando gli chiedevi a quale anno fossero. Tutti fuori corso, ovviamente. Ma era inevitabile. E oggi lo è ancor di più, in un’università diventata – a causa di riforme del tutto inadeguate – un esamificio continuo, esami intervallati da corsi ultra compressi, veloci, un’università da fare quasi in apnea. E tasse elevatissime, naturalmente.
Ecco, sono loro, gli studenti-lavoratori, i principali “responsabili” dei fuoricorso messi all’indice dal ministro Profumo. E che sia un ministro ultra privilegiato a dire certe cose, ci sta, ahimè. Fa parte di questi sgangherati anni italiani. Ma è triste che a ribadire la sciocchezza sia poi un inventore di storie, uno che sulle vicende degli studenti lavoratori potrebbe scrivere storie bellissime, sceneggiature da festival del cinema, come ha spesso fatto Francesco Piccolo, sceneggiatore, fra gli altri film, di Gomorra. Chi glielo dice, a costoro, che non siamo tutti bocconiani? Che spesso l’università è una scelta possibile solo se accompagnata a sacrifici veri? Quanti veneti trenta, quaranta, cinquantenni sono stati studenti-lavoratori? Migliaia, e non serve consultare dati. Laureati fuoricorso, naturalmente. Quando smetteremo, in questo Paese, a ragionare per semplificazioni e approssimazioni? Punire i fuoricorso significa penalizzare chi già sta facendo sacrifici enormi, chi non ha papà alle spalle che paga. Questa è la semplifcazione. L’approssimazione è dire che i fuoricorso esistano solo in Italia. Basta farsi un giretto su Google per rendersene conto. E poi, se proprio vogliamo fare confronti con le università straniere, facciamoli sul serio. Tipo, per esempio, vedere quanto si investe altrove in ricerca e istruzione. Lì sì c’è da vergognarsi. Eccome. Altro che i fuoricorso.