L’identità veneta a tutti i costi
Questo mio articolo è uscito sul Corriere del Veneto il 5 gennaio 2012.
«Prima il Veneto», era lo slogan elettorale con cui Luca Zaia è diventato presidente della regione. Uno slogan a escludere, ché se privilegi qualcuno, lasci fuori molti altri. Uno slogan che racchiudeva in sé anche quella che oggi sembra quasi diventata un’ossessione, l’identità veneta. Basta guardare dentro al «deliberone» che, fra l’altro, chiamato così, non lascia presagire nulla di buono. Queste trecento delibere approvate a fine 2011 dalla giunta regionale del Veneto, riguardano in parte proprio l’identità veneta. Uno sforzo titanico, quello di dimostrare radici difficile da trovare, da collocare, e perciò spesso fantasiose. Perché, va da sé, un’identità non può prescinderek, innanzitutto, da una lingua. La Lega, quando vuole semplificare, paragona la padania – che non esiste – con la Catalogna e le Fiandre. Basterebbe un giretto su wikipedia per rendersi conto dell’inadeguatezza storica, culturale, politica e sociale del paragone. Ma basta uno sola cosa: Catalogna e Fiandre hanno una loro lingua. Così come la Bretagna e i Paesi Baschi, altri esempi che i leghisti, semplificando a più non posso, non esitano a sbandierare. E poi, quale lingua avrebbe la padania? E allora ecco che nel «deliberone» ci sono elementi che dovrebbero essere il collante della nostra identità veneta e che invece, posti l’uno accanto all’altro, mettono a nudo le contraddizioni e le difficoltà di rendere indiscutibile la retorica propagandistica e demagogica. Innanzitutto, il fiore all’occhiello – soprattutto per il prezzo di copertina – è l’acquisto di svariate copie del dizionario della lingua veneta (costo totale dell’operazione, oltre quindicimila euro…) che, è presumibile, altro non dovrebbe essere che l’insieme di migliaia di voci dei diversi dialetti che compongono il mosaico linguistico del Veneto. Che invece è sfuggente, vario, aperto, variegato. Sarebbe stato meglio limitarsi al dizionario, da parte della giunta: un bel volumone di più di duemila pagine, discutibile, certo, ma bello evidente. Un malloppo da ostentare nel tentativo di afferarla, alla fine, questa agognata identità. Invece, ecco un altro libro, le commedie trevigiane di Dante Callegari. Mi scuso per non averlo mai sentito nominare – disinformazione mia – ma, navigando sul suo sito, si legge da una parte che le sue opere sono scritte in «antico dialetto trevisano» e, poco più in là, in «lingua veneta popolana». Mah. Il terzo acquisto da parte della giunta poi sottolinea definitivamente le contraddizioni della ricerca ossessiva di identità: le canzoni di Natale riarrangiate dagli Ska-J in dialetto veneziano. Il gruppo la cui voce è quella di Marco «Furio» Forieri, ex Pitura Freska, fa del dialetto un elemento di totale apertura, mescolato a sound etnici di ogni genere e provenienza. Marco, tanto per dire, è uno degli autori della hit sanremese dei Pitura, intitolata “Papa Nero”. L’esatto opposto di «Prima il Veneto», dunque. Perché non è a furia di slogan, che si costruisce l’identità che si vorrebbe. Perché il Veneto, per fortuna, ha tutta un’altra identità. Che guarda verso innumerevoli altrove. Vero è, però, che al di là del costo di queste operazioni, che in un periodo come questo potevano essere evitate, viene quasi da ringraziare per le conferme involontarie che tali scelte dimostrano: l’identità veneta (come la lingua), non esiste. E se esiste, è piena di di provenienze altre, di ricchezze esterne. Foreste, viene da dire. E meno male.
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