Cantando L’Internazionale, altrove

Questo mio articolo è uscito il 31 agosto 2011 sul manifesto. Il 3 settembre, su Liberazione, Roberto Gramiccia, lo ha scelto come spunto per ulteriori riflessioni.


La sera, dal tendone ristorante, arriva un canto inconfondibile, ma ormai perduto. Perduto per noi italiani. Perduto in questo modo qui, con duemila militanti di un grande partito di sinistra, militanti di tutte le età, ma soprattutto giovani, tanti giovani – che cantano a squarciagola L’Internazionale. Lo cantano con passione, con determinazione, con gioia. E mentre cantano, mentre urlano, mentre sorridono, fanno un gesto che pure abbiamo perduto. Peggio, che abbiamo cancellato. Tengono il pugno alzato. Io, tengo alzato l’iPhone, che sta facendo il video. Riprendo qualcosa che la nostra sinistra ha gettato via. Ma non riuscirò a riportarlo “a casa”. Resterà un puro souvenir. Non solo. Nella giornata passata in mezzo ai militanti del PS, riuniti a La Rochelle per L’Université d’été, invitato a parlare dell’Italia di oggi, continuavo a sentir risuonare un altro dei delitti compiuti dalla nostra sinistra. Una parola che noi abbiamo cancellato. La parola compagni. Chissà cosa avrebbero provato, si fossero trovati da queste parti, Bersani e Vendola. Lo avrebbero sentito anche loro, quel mio vago senso di vergogna? Perché quello che da noi la sinistra è riuscita a fare, non è stato cambiare, come ci hanno detto, no, hanno cancellato la Storia, smantellato appartenenze, sradicato radici. I socialisti francesi, per quanto fra di loro ci siano figure assai moderate, non hanno mai messo in discussione quei tratti indiscutibili, quei valori ineluttabili, quei gesti e quelle parole e quei canti che racchiudono e raccontano epoche intere. I militanti cantano L’Internazionale, alzano il pugno, si chiamano compagni. La nostra sinistra (quasi tutta), queste cose le ha cancellate credendo di installarsi – lungimirante – per prima dentro al futuro. Si è trasformata, invece, in una patetica e inutile archeologia del presente. Assillata dai fantasmi agitati con vigore da chi è entrato in politica per sconquassarla, si è terrorizzata e si è lasciata sconquassare. Così, lì, a La Rochelle, in quel contesto, il partito meno di sinistra della sinistra francese, sembra il più a sinistra di tutti i nostri partiti di sinistra. E trovarsi lì, a parlare dell’Italia di oggi, lì, dentro a un partito che a La Rochelle ha iniziato ufficialmente la campagna per le primarie di ottobre e la conseguente battaglia che dovrebbe portare il candidato vincente all’Eliseo nel 2012, lì, un italiano non può che sentirsi inadeguato. Unico motivo di vago orgoglio: non avendole mai fatte prima d’ora, sono venuti da noi, in Italia, dal Pd, a studiare come si organizzano, le primarie. Capirai. I candidati sono cinque, ma la lotta pare sarà solo fra gli ultimi due segretari del partito, François Hollande e Martine Aubry. Outsider, la candidata del 2007, Ségolène Royale. Si batteranno fra loro alla “presenza” del fantasma di colui che sembrava il candidato sicuro, il più temuto da Nicolas Sarkozy. Dominique Strauss-Kahn. In Francia, non si parla d’altro, ma dentro al recinto dell’Espace Encan, tutti fanno un po’ finta di nulla, tranne lo stand delle cartoline, dove fra le figure più significative del socialismo francese, giusto sotto alla foto autografa di François Mitterand, c’è un sorridente Strauss-Kahn in bianco e nero. Verrebbe da chiedere se e quante ne hanno vendute. Alla tavola rotonda Mieux connaitre pour mieux combattre, l’estrème droite en France et en Europe, organizzata la Mouvement Jeunes Socialistes, ci sono un centinaio di ragazzi. Dai quindici anni in su, di tutte le etnie. Vengono da ogni angolo della Francia. Ascoltano e domandano per più di due ore. Sono loro che da domani saranno il cuore attivo della campagna elettorale per le primarie, strada per strada. E vogliono capire. Perché tutti, qui, temono il ripetersi del 21 aprile 2002, quando Jean-Marie Le Pen arrivò tra lo sconcerto generale al ballottaggio con Chirac. Nessuno vuole si ripetano gli stessi errori, e i sondaggi che danno a volte Marine Le Pen al secondo turno, preoccupano molto. E loro ascoltano, prendono appunti, domandano. Faticano, ovviamente, a capire la situazione italiana. Del resto, è ancora più faticoso tentare di spiegarla, a uno straniero. Finito l’incontro, un ragazzo si avvicina, ha ancora qualche curiosità, e poi, sorridendo, dice che no, qui da loro l’estrema destra non andrà mai al governo. Lo credo anch’io, gli dico. E gli auguro di darsi da fare, di vincerle, le prossime elezione. Fatelo anche per noi, aggiungo. Guardi e ascolti questi ragazzi e ti rendi conto di quanto si sentano dentro a un partito dalle radici solide. Come fa oggi, un giovane, a riconoscersi nel Pd, o anche nel Sel, con nomi che non significano nulla, che non arrivano da niente, perché sono i dirigenti stessi, a fingere, in una rimozione forzata, di venire dritti dal nulla? Questi ragazzi dimostrano di avere entusiasmo, voglia di fare, e il discorso di chiusura dell’Université fatto dalla loro segretaria nazionale, Laurianne Deniaud, è il riassunto di tutto ciò. Un discorso forte, radicale, fatto di indignazione e di volontà di contribuire al cambiamento, pronti a lottare su tutti i fronti, contro il nucleare, contro il razzismo, che rivendica la multietnicità della Francia come un valore assoluto, e contro le generazioni che continuano a tenere i giovani a margine, sia nel mondo del lavoro, sia in politica, anche dentro allo stesso Ps. Un discorso di sinistra. Forte, appassionato, radicale. Bisognerebbe farlo ascoltare a Matteo Renzi. Mi chiedo cosa succederebbe da queste parti, se un giorno dicessero a tutta questa gente che bisogna smettere di celebrare il 1. maggio e il 14 luglio. Ma non succederà mai, mi risponderebbe quel ragazzo. E avrebbe ragione. La sera, c’era anche lui, sotto al tendone, il pugno alzato, a cantare a squarciagola L’Internazionale e a prepararsi a lavorare per un Changement che, visto da qui, sembra inesorabile, indiscutibile e, soprattutto, vincente.

L’articolo di Roberto Gramiccia, su Liberazione, del 3 settembre 2011.


Leggendo sul manifesto di qualche giorno fa l’articolo intelligente e appassionato di Roberto Ferrucci che racconta della Festa dei Socialisti francesi a La Rochelle e, nell’ambito di essa, del canto a squarciagola dell’Internazionale, dei pugni chiusi agitati per aria da tanti giovani appassionati, della parola compagno che fiorisce sulle labbra di tutti, della linea politica espressa per le primarie di ottobre, confrontando tutto questo coi rituali grigi e anonimi della nostra cosiddetta sinistra e con la sua ambiguità inconcludente, per una strana associazione di idee, mi è venuto in mente il nostro governo e la figura da cialtroni che stanno facendo i membri della maggioranza, cambiando una manovra al giorno, una più forcaiola e sconsiderata dell’altra.
Sono stato preso allora da un dubbio lancinante, un dubbio doloroso come una causalgia (avete mai avuto una sciatica o l’herpes zooster?). Ma non sarà che la cialtroneria è diventato un tratto costitutivo nazionale della nostra classe dirigente, uno stigma per così dire traversale e bipartisan? Per la prima volta in vita mia non ho ragionato in termini di destra/sinistra, anche perché oggi purtroppo è difficile farlo, né ho utilizzato paradigmi di classe ma piuttosto un criterio epidemiologico orizzontale (la medicina, si sa, è una illuminante metafora della vita).
Mi sono chiesto: ma come mai la destra populista del nostro Paese al potere (che non è stata mai un gran che) si è ridotta ad una compagnia da comica finale (con due capicomici di prima fila: Berlusconi e Bossi e uno aggiunto: Giulio Tremonti) e quella che noi definiamo del tutto impropriamente sinistra si è ridotta a fare una opposizione da operetta. Il confronto con gli altri Paesi non fa che peggiorare la mia impressione. Non è che in Francia non esistano socialisti moderati, come ci ricorda Ferrucci, ma nessuno si è sognato di sostituire l’Internazionale con la canzone di un cantautore. Da noi sì. E la cosa fa un po’ pendant – mi piange il cuore a dirlo – con la liturgia da avanspettacolo delle adunate della Lega, per non parlare delle performances distribuite a gratis dal primo ministro decotto.
I cazzotti di Bossi e le corna di Berlusconi fanno il paio con le esternazioni di Matteo Renzi e le sue espressioni da cabarettista pacioccone velenoso opportunista fiorentino. Che poi Renzi sarebbe il rottamatore. Ma rottamatore di che, se tutto è ormai già rottamato? C’è un virus che si aggira dentro il parlamento ormai da tempo: quello della cialtroneria. Nella catena del contagio molto deve aver giocato il ruolo di un portatore molto poco sano come Walter Veltroni. Ma non basta. Non può bastare perché la pandemia si è sviluppata con esiti devastanti che ricordano quelli della Spagnola degli ani Cinquanta.
Evidentemente c’è una predisposizione. Sarà la vocazione al trasformismo? Sarà il terrore di dover passare la mano? Dalla Bolognina in poi non c’è stata più tregua. Se pensate che, dentro il Pd, Bersani ha dovuto gonfiare i muscoli e trattenere il respiro per sostenere lo sciopero generale indetto dalla Cgil. Poveraccio, non gli bastavano i guai che gli sta dando Penati.
E allora, prima che sia troppo tardi bisogna trovare una cura. Non voglio credere che quella della cialtroneria sia una malattia cromosomica (congenita e incurabile). E’ la nostra stessa storia che falsifica questa tesi, lo fanno le radici della nostra costituzione. Ma allora se non è una malattia genetica – anche se sono propenso a ritenere che ci sia una propensione alla cialtroneria (pensate alla coglioneria farsesca del fascismo e alle esibizioni del duce mascellato sostenute da folle oceaniche e plaudenti) – cerchiamo finalmente una terapia efficace.
Noi siamo fuori dal parlamento e quindi meno esposti al contagio ma questo non ci rende più sereni. Se l’infezione si estenderà, sarà la fine. Se la Sinistra non rinascerà subito, non se ne potrà più parlare in Italia per decenni. E questo ci preoccupa, anzi ci terrorizza.
Non resta che sperare che la cura prenda le mosse dall’autodiagnosi (non esiste terapia senza diagnosi) di questa cosiddetta Sinistra, affetta da una forma di grave degenerazione progressiva della propria identità e della propria pratica politica. Diamo una mano al povero Bersani. Cominciamo col proporre che le assemblee del Pd si concludano con l’Internazionale, rendiamo obbligatorio l’uso della parola “compagno”, del pugno chiuso e delle bandiere rosse. Suggeriamo a bassa voce all’orecchio di Vendola le stesse cose. Chissà che, cominciando dal cuore, non succeda qualcosa. Facciamolo presto, però, anche perché prima o dopo, archiviato Berlusconi, la destra cambierà registro e, visto lo stato in cui si trova, non potrà che migliorare il proprio appeal (Montezemolo vuole persino pagare le tasse e Marchionne lo sostiene). Se non cambierà subito, se non guarirà, rischia di rimanere cialtrona solo la sinistra. Allora veramente non ci resterebbe che andare a nasconderci.