I nostri libri al rogo
Questo mio articolo è uscito ieri sul Corriere del Veneto.
“Un bel tacer non fu mai scritto”. E mai detto, aggiungo. Basterebbe questo, come commento a questa “squallida operazione da dittatura stupida” (come l’ha definita Carlo Lucarelli) dell’assessore alla cultura della provincia di Venezia. Un assessore che, per rilanciare il Lido, ha proposto come figura professionale impeccabile, non più tardi di qualche settimana fa, uno come Lele Mora. Anche in questo caso, meglio tacere. Sarebbe allora sufficiente un’alzata di spalle, nulla più, per liquidare una trovata anacronistica in Europa, tipica delle dittature, praticata solo in Iran, in Cina, a Cuba. Ricordo bene il giorno in cui vidi per la prima volta il bellissimo e inquietante film di François Truffaut, tratto da un romanzo di Ray Bradbury, Fahrenheit 451. Un film ambientato in una società e in un’epoca dov’è proibito leggere libri. C’erano questi pompieri che, invece di spegnere incendi, andavano in giro a fare roghi, roghi di libri. Ero ragazzo, ma già lettore. Guardavo quel film e mi compiacevo della fortuna che avevo a vivere in un’epoca e in un paese che aveva sconfitto chi i libri li bruciava e li proibiva. Mai avrei immaginato che nel 2011 sarei stato costretto a scrivere di qualcuno che propone quasi la stessa cosa. Mette i brividi. Già, perché nella mia libreria trovano spazio autori come Pound, come Céline, come D’Annunzio, che esaltarono il nazismo e il fascismo. Dittature che bruciavano i libri (come avvenne in Cile, nel 1973, o come avveniva nell’Unione Sovietica) e che gli scrittori li mandavano in galera, o al confino, o nei gulag. Non mi sono mai sognato di auto proibirmeli, Pound, Céline e D’Annunzio. Li ho letti, li ho consigliati, li ho prestati. E tutti i libri – tutti – hanno diritto di cittadinanza nella Patria del libro: la biblioteca pubblica.
Impossibile, allora, liquidare l’esclusione dalle biblioteche con un sorriso di compatimento. No, perché la messa al bando arriva da una importante istituzione e si inserisce nel contesto folle che questo paese, l’Italia, sta attraversando. In Italia – lo avrete notato, credo – ormai vale tutto. Vale che la libertà di pensiero venga messa a repentaglio di continuo, vale che tutto, anche i dibattiti seri come il caso Battisti, vengano banalizzati e semplificati e branditi come spada ideologica da usare nei momenti del bisogno, vale essere governati da gente che ha trasformato l’Italia nel proprio bordello personale, e nella propria banca personale, e nel proprio ufficio personale e nel proprio parco giochi personale. E noi? E la società civile? Noi, nel frattempo, non siamo altro che spettatori plaudenti e silenziosi e complici (in questo caso sì, non la delirante accusa fatta agli scrittori di essere complici di un assassino) dell’infinito reality show. Sì, perché ciò che soprattutto vale per ciascuno di questi episodi – che altro non dovrebbero produrre se non una potente carica di indignazione, di rabbia – è che rientrano ormai nell’ambito di una sconcertante, e per certi versi malata, normalità. Una normalità, malata, che ci vede tutti coinvolti.