Ricercare altrove.
Questo mio articolo è uscito sul Corriere del Veneto di mercoledì scorso, 8 dicembre 2010.
I loro volti li ho visti alla Sorbona, o alle università di Lille e di Nantes. I volti di ricercatori italiani espatriati loro malgrado da un paese che ha deciso di abbandonarli, che non ha saputo e voluto riconoscerne le capacità, valorizzarle e, soprattutto, custodirle. C’è chi ha terminato lì l’università ed è rimasto, chi ha approfittato dell’Erasmus e non è più rientrato, chi ha fatto di tutto per non lasciare l’Italia e alla fine, magari a quarant’anni, è stato costretto ad andarsene. E a non tornare più. Già, perché non ce n’è uno che pensi nemmeno lontanamente di far ritorno in Italia. Anche se, sottotraccia a quei volti soddisfatti, si intuisce l’inevitabile velo di malinconia. Tracce di una sconfitta non cercata e di sicuro immeritata. Prevale altro, però. Quando raccontano, nei loro volti c’è soprattutto la soddisfazione per essere stati finalmente riconosciuti e apprezzati per quel che sono: degli studiosi di grande livello, che l’Italia ha ignorato, se non, peggio, boicottato. Li ho incontrati in occasione delle presentazioni del mio nuovo romanzo, pubblicato soltanto in Francia anche se in versione bilingue, una scelta per certi aspetti paragonabile alla loro. La presa d’atto dello scempio perpetrato ai danni della cultura nel nostro paese. E chi ha scelto suo malgrado l’espatrio, sa bene che la protesta studentesca di questi giorni contro la riforma universitaria li riguarda da vicino. Una forma di protesta che la dice lunga, in quest’epoca di post ideologie, sullo stato delle cose in questo paese. La cultura, cancellata da anni dai piani di governo, ritorna finalmente a essere posta al centro della vita dei giovani, consapevoli che senza crescita culturale sarebbero destinati a essere i sudditi perpetui e catatonici di una classe politica che fa della propria stessa ignoranza un modello di vita. Manifestano, con la speranza, domani di non essere più costretti a scegliere Parigi, o Lille, o Nantes, come hanno dovuto fare i loro fratelli maggiori. Il Books Bloc – che fa il verso a uno degli aspetti più oscuri, quello dei Black bloc, dei giorni del G8 di Genova nel 2001 – è stata la geniale risposta a un potere che ha subito deciso di mostrare i muscoli. La letteratura opposta ai manganelli. Le pagine dei classici in risposta a quella frase sconcertante e indimenticabile del ministro Tremonti, che motiva i continui tagli alla cultura con l’oscena battuta “Provate voi a mangiare pane e Divina Commedia”. Studenti e ricercatori che hanno deciso di provare a lottare, per non essere più costretti all’espatrio. Pare che la fuga di massa dei cervelli dal nostro paese sia costata all’Italia, in questi ultimi anni, quattro miliardi di euro. Soldi dei quali ora gode, grazie alle nostre intelligenze espatriate, il resto del mondo. Un paese, il nostro, che anziché investire, cerca in ogni modo di incassare, subito, e in qualunque modo. Non con la cultura, ovviamente. A qualcuno la Divina Commedia, si sa, è indigesta.