Accarezzare parole sull’iPad

Questo mio articolo è uscito il 27 maggio 2010 sul Corriere del Veneto.

Venezia ha da qualche tempo, fra le tante, una nuova particolarità, quella di essere la prima città digitale. Wifi diffuso, connessione ovunque, che da venerdì prossimo si sposerà perfettamente con quell’oggetto definito rivoluzionario. Uno dei regali più desiderati, per generazioni intere di bambini, è stata una piccola lavagna coi gessetti colorati e una spugna grigio scuro come cancellino. Era un modo per sentirsi un po’ più grandi, dato che a scriverci, sulla lavagna grande, a scuola, era soltanto la maestra. Su quella piccola superficie nera dai bordi di legno, hanno preso forma le invenzioni più effimere della tua vita, disegni e testi della durata di un attimo, il tempo di crearne una, guardarla e cancellarla. E via così. Guai poi a metterti in testa di scriverci una storia, là sopra. Nessuna pagina da girare. Solo un’infinita variante dello stesso incipit. Un regalo tanto desiderato quanto, alla fine, frustrante. A quell’oggetto, e a quella frustrazione infantile, deve aver pensato Steve Jobs, il giorno in cui ha deciso di mettersi a lavorare all’iPad. Certo, probabilmente Marco Travaglio continuerà a scrivere i propri articoli a penna, sul moleskine formato quaderno, quello da cui lo vediamo leggere a Anno Zero. La sua calligrafia – che intuisci fare una certa pressione con la penna a sfera sul foglio, le pagine leggermente imbarcate – continuerà a scorrere, nonostante tutto, su quei fogli. E anche Antonio Tabucchi, di sicuro, farà lo stesso, carta e penna, per i suoi libri, i suoi racconti. Saranno in molti, ancora, a resistere alla scrittura virtuale, a tutte quelle nuove tecnologie che cambiano l’approccio, mutano l’atto dello scrivere. Il vero grande mutamento è dunque imminente: l’iPad arriverà in Italia il 28 maggio. Anche se alcuni, dentro al mutamento, ci sono già da un po’. Infatti, sto scrivendo questo articolo picchiettando le mie dita sulla lavagnetta della Apple, sulla superficie lucida del suo luminoso display: in un bar, prima. In un treno, poi. Rilettura dell’articolo e invio al giornale da un vaporetto. La scrittura in movimento, che cammina con te, che si sposta con te, ed è sempre pronta per la sua destinazione, intesa come pubblicazione in rete oppure su un giornale. Scrivo glissando le dita su tasti invisibili e qualcuno mi guarda strano, o incuriosito. Vedere uno picchiettare sul display di una tavoletta illuminata è una vera novità, ancora per poco. In realtà, dopo qualche giorno, più che a picchiettare, ho imparato a sfiorarli, i videotasti dell’iPad. All’inizio sembrava fosse necessaria una tastiera esterna. Nessuno credeva fosse possibile digitare con precisione, velocità e disinvoltura sulla keyboard che si srotola dal basso, come un mezzo sipario alla rovescia, sul display del nuovo aggeggio inventato da Steve Jobs. E invece, far scorrere le proprie parole qua sopra è un vero piacere. Del resto, la scrittura è un atto fisico, una disciplina che necessita un suo allenamento, e forse anche a Proust, o a Calvino, o a Beckett, sarebbe piaciuto, un giorno, sfiorare con le dita le lettere dell’alfabeto. Accarezzarle, insomma, le parole. In questi ultimi anni l’atto della scrittura, dopo decenni di stasi, di tastiere di macchine per scrivere, prima, e di computer, poi, è mutato più volte. Prima quando Apple inventò il Newton, era il 1993, il vero antenato dell’iPad, una tavoletta un po’ più piccola che – quasi – riconosceva quel che scrivevi sul display con una penna in plastica e lo trasformava in testi con font a tua scelta (ce n’erano quattro, se non ricordo male). Arrivò troppo in anticipo, era troppo avanti, e gli utenti non capirono. Poi fu il tempo dei palmari, antenati dell’iPhone, per certi aspetti. E lì ci scrivevi sopra col pennino di plastica, picchiettavi una piccola tastiera virtuale, e ancora oggi si vede in giro qualcuno fare tic tic tic con una rapidità sorprendente. Quindi fu la volta del sistema T9, dei cellulari, quello che ti completa la parola, poi ancora la tastiera del Blackberry, divisa in due aree, da digitarci sopra con entrambi i pollici. Infine l’iPhone. Una mattonella sul cui display, col pollice, ti può capitare di scrivere mentre cammini. E mica solo un sms, o una breve email, no. Cammini, e le parole seguono il tuo passo, escono scandite da un’andatura che mette definitivamente in pratica quella visione apparentemente poetica che dice che lo scrittore scrive anche quando cammina. Mi è capitato spesso. Di essere in ritardo a un appuntamento e, contemporaneamente, in ritardo per l’invio di un articolo, digitato dunque per strada, le lettere che assecondano il passo veloce, su un programmino inventato da un matto che, attraverso l’obiettivo della macchina fotografica, ti mostra dove metti i piedi e lo sfondo non è la pagina bianca, ma il tuo percorso. Scrivere sul tuo stesso cammino, dunque. Passi di parole. L’iPad sta per arrivare. Io ci sto già scrivendo, accarezzando le lettere della videotastiera. Il grande artista David Hockney ne ha uno su cui, ogni giorno, fa un disegno che spedisce poi agli amici. Accarezza i colori, lui. Peccato non essere suo amico. Scrivo queste cose sulla videotastiera dell’iPad e penso che sì, questa potrebbe essere davvero una rivoluzione, sia per la scrittura che per la lettura che per il disegno. Chissà se gli italiani lo compreranno solo per giocarci, come al solito, oppure, sorprendendoci, soprattutto per scrivere. E tornare a leggere, magari. Per accarezzare le parole, con le dita e con gli occhi. Riconquistare, grazie alla lavagnetta luminosa, l’abbecedario che abbiamo perduto. Intanto, Venezia potrebbe seriamente candidarsi come capitale di questa rivoluzione culturale e di comunicazione. Venezia e l’iPad, perché se, come diceva Calvino, Venezia è prima di tutto un’idea, l’iPad può essere l’idea messa in pratica.