Xenofobia e ignoranza

Questo mio articolo è uscito l’1 agosto 2009 sul Corriere del Veneto.

Le boutades leghiste hanno sempre lo stesso stile. Appena pronunciate sembrano vagare nell’ambito di chi la spara più grossa. Hanno l’aria delle “solite esagerazioni” a cui quasi non si fa più caso e che, puntuali, vengono apparentemente ridimensionate dai propri alleati politici. In realtà, le sparate leghiste, alzano di volta in volta il tiro. Spostano il dibattito sempre più in là, nel luogo dell’esagerazione, dell’inaccettabile. Un’esagerazione che poi, col tempo, ottiene – immancabili – i risultati. Il pacchetto sicurezza, ad esempio, altro non è che il risultato di boutades messe lì nel tempo e liquidate, di volta in volta, con finta sufficienza. Così è governato oggi questo paese. Per questo, anche la proposta becera della prova del dialetto per gli insegnanti (ridimensionata come conoscenza della cultura della regione in cui si andrà a insegnare, che a mio avviso è pure peggio: Rovigo, ad esempio, ha più affinità con Belluno o con Ferrara?) anche questa sparata, dicevo, otterrà i suoi risultati. È questo il ruolo di un partito che la stampa straniera, ogni volta che lo nomina, lo definisce per quel che è: populista e xenofobo. Che la boutade cada poi in piena estate, non è certo un caso. La già esausta e indebolita classe insegnante non ha certo il modo, oggi, di controbattere, di organizzarsi. Del resto, oggi, chi controbatte? Chi si organizza? Chi ha il coraggio di rovesciare ad alta voce la proposta leghista? Di dire che alla prova dovrebbero essere messi coloro che ci governano e ci amministrano? Politici che – due su tre – non azzeccano un congiuntivo, non conoscono la storia, che dimostrano quotidianamente un’ignoranza inadeguata al ruolo che ricoprono. Eppure ci vorrebbe una voce che oggi dicesse quale è la battaglia che gli insegnanti si trovano a combattere giorno dopo giorno, a tutti i livelli, una battaglia di resistenza, un corpo a corpo feroce in difesa di ciò che di più prezioso un paese possiede: la propria lingua. L’italiano. Altro che la prova di dialetto. Stiamo smarrendo la nostra lingua. Il nostro vocabolario perde pezzi minuto dopo minuto. Parole che vengono dimenticate o, peggio, ignorate, cancellate, mistificate. Il corpo docente di questo paese si trova di fronte a un compito immane: quello di salvare la nostra lingua da uno svilimento pianificato a tavolino. Deve ribaltare, giorno dopo giorno, la scarnificazione della lingua italiana che tv, famiglia, politica, e anche certa stampa smantellano di continuo, inesorabili. Devono proteggere quel che resta del nostro vocabolario e recuperare a fatica quanto smarrito. Impresa atta a salvaguardare il sapere, la cultura tutta, sia umanistica che scientifica. Questo va riconosciuto ai tanto vituperati insegnanti: cercare di contrastare una classe politica che vorrebbe il paese a sua immagine e somiglianza, un paese che non azzecca un congiuntivo ma che sa tutto di veline e di reality show. Un paese griffato dalla testa ai piedi e che è convinto che la causa di tutti i mali sia il diverso. E se gli insegnanti allora hanno una colpa, è quella – comune a tutti, ormai – di non essere capaci di farsi sentire e, magari, di rovesciarla la boutade: facciamo un test di cultura generale, quanto meno, a chiunque voglia candidarsi ad amministrare e a governare. Sarebbe l’unico e il più infallibile modo per cambiare davvero questa classe dirigente. Ma sostituita da chi?