Obama a Venezia
Questo mio articolo, dal Corriere del Veneto di ieri.
E adesso chi ci crede. Adesso che è l’alba, e dopo giorni di acque alte e pioggia, a Venezia spunta finalmente il sole. Adesso che posso andare a dormire senza più doverlo fare quel sogno, diventato realtà, nel corso di questa notte. Barack Hussein Obama è stato eletto Presidente degli Stati Uniti. Chi ci crede, quando lo ascolto fare il suo discorso di vittoria al Grant Park di Chicago, quando vedo la gente piangere e penso a quel giorno in cui i miei genitori mi dissero che avevano ucciso Martin Luther King, la loro commozione poco chiara per un bambino delle elementari, e la mia, incredula, di adesso, quarant’anni dopo, che ascolto il discorso del primo Presidente afroamericano degli Stati Uniti. Chi ci crede quando sono fra quelli che, sette anni fa, era andato a Genova per raccontare che un mondo diverso era possibile, e l’ha vista violentata, uccisa, quella diversità possibile, e ora invece eccola qui, piena di speranza, di determinazione, qui davanti a me, la voce di Barack Obama. Le sue parole, così diverse, così cariche di significati, di valori, di ideali. E mi commuovo, alla fine di una notte appesa al filo del ricordo di quelle stesse notti del 2000 e del 2004. Felice, adesso, di poter smettere di aver paura dei numeri, di cifre che impazziscono, felice di poter lasciare finalmente libero spazio alle emozioni e ai sentimenti. Da dove viene, mi domando, Barack Obama. Ancora poche settimane fa, tutto ciò non era neanche un sogno. Era qualcosa di impensabile e improponibile. E adesso c’è. Da dove viene. E se venisse da dentro di noi? Se venisse dal cuore e dalla testa di tutti noi, Barack Obama? Dal cuore e dalla testa di tutti quelli che sanno che è ora di finirla con la stupidità, che bisogna tornare ai valori e agli ideali, alla forza del pensiero, del sapere, della consapevolezza. Di tutta quella parte di gente convinta di essere emarginata, fuori ruolo e fuori tempo in un’epoca dove prevale la sopraffazione verso il povero, il diverso, il debole. Viveva dei servizi sociali, la famiglia Obama. E lui stesso, per qualche anno, ha fatto l’assistente sociale. Ecco da dove viene Barack Obama, dalla parte più bassa della società che è però la più nobile, la più alta, la più vera, la più forte, la più autentica di questo mondo. Noi, che ci eravamo abituati e rassegnati ai Bush, ai Berlusconi, allo squallore quotidiano di questo paese chiamato Italia e che ci credevamo impotenti e inutili, incapaci di contrastarla, la sopraffazione di coloro che fanno le guerre per puro business, che ci terrorizzano di terrore facendo delle nostre vite dei contenitori di paura, unico sentimento oggi consentito. Da tutti noi viene Barack Obama, sbucato fuori dai nostri sentimenti e dal nostro immaginario. Noi, incollati tutta la notte alla tv, a scambiarci speranze e dubbi via sms e facebook, a tenerci virtualmente per mano perché questa notte è la notte cruciale di un’epoca, la nostra, e no, non ci possiamo credere che possa essere vero. Una notte, poche ore, il tempo per inabissarci del tutto o svoltare. Poche ore e, increduli, siamo già nella nuova epoca. Ci siamo forse reimpossessati, in una notte, del vero significato delle parole. Si può tornare a rivendicare valori e ideali senza più temere di essere tacciati come retorici o, come capita da noi, come comunisti. E adesso, che è forse l’alba di un’epoca nuova, posso andare a dormire. E non mi serve sognarlo più, uno come Barack Obama. Perché Barack Obama, adesso, c’è.