Maradona, Kusturica
Anni fa ho scritto questo, non ricordo più se per il manifesto o il Gazzettino.
Ormai non dovrebbero nemmeno fare più notizia le disavventure di Diego Armando Maradona. E invece eccolo di nuovo qui, a riempire pagine dei giornali di tutto il mondo, a far traballare – di nuovo – le nostre coscienze. Ogni volta che all’improvviso il suo faccione appare dietro le spalle del giornalista, dentro di noi si affastellano flash contraddittori: un gol in rovesciata e il Maradona imbolsito che voleva comprare il Napoli; le lacrime dopo la squalifica e Maradona che bacia la Coppa del Mondo. Succede questo dentro di noi, e le nostre coscienze vacillano davanti al pensiero di un uomo di 39 anni steso sopra a un lettino del reparto terapia intensiva di un ospedale uruguagio, a combattere con un cuore minato dalla cocaina. Un uomo che, apparentemente, ha avuto tutto dalla vita e che non si capisce perché sia finito in questo modo. E subito, allora, siamo tutti pronti a scagliarci contro il mito decaduto, addosso al cattivo esempio per i giovani, a questo “core ‘ngrato”, che si è preso tutto, fama, soldi, risultati e ci ha ridato solo immagini negative. Ogni volta, fatalmente, spariscono le altre, di immagini: quelle dei palleggi al San Paolo il giorno del suo arrivo a Napoli, i gol che portarono gli azzurri allo scudetto prima e alla Coppa Uefa poi, i suoi sublimi calci di punizione, i mondiali del 1986 che ha vinto praticamente da solo, con quel magnifico gol contro l’Inghilterra partendo da centrocampo e quello di pochi minuti prima, segnato con la mano, “la mano di Dio”, disse lui. Sparisce il Maradona campione e subentra il disadattato, quello che fuori dal campo si trasforma, Dottor Jekyll e Mister Hide. Ci resta solo il Diego amico dei camorristi, il Maradona in manette, il Dieguito cacciato dai mondiali del ’94 perché colto, di nuovo, in flagrante, quello che spara (davvero, col fucile) ai giornalisti colpevoli di assediarlo.
Era appena stato eletto calciatore e sportivo del secolo in Argentina, e lui? Come ringrazia, il “core ‘ngrato” Diego Maradona, quello che giura sempre sulle teste delle sue figlie? Strafacendosi di coca. Che squallido ‘sto Maradona. Sono questi i commenti che si sentono in giro.
Ma se anche questo, invece, facesse parte della grandezza del Pibe de Oro? Se questo suo procedere perennemente fuori rotta, questa sua andatura esistenziale tutta storta, sghemba, fosse solo l’incapacità di saperla (o di volerla) gestire, tutta quella grandezza? È piccolino Dieguito, troppo piccolo per non ubriacarsi col peso della notorietà, dell’importanza, della gloria. Soprattutto adesso che il suo bagaglio si sta trasformando in ricordo, in icone del passato. Certo, questa lettura è banale quanto quella – come chiamarla – “benpensante”. Ma perché questa non viene mai fuori?
Maradona calciatore i suoi gol li ha segnati, eccome. E nel calcio, nell’immaginario collettivo, ha lasciato un segno indelebile. Nella vita, invece, solo autogol. Autogol di quelli pesanti, che ti fanno perdere partita e campionato. Sono queste due dimensioni così contrastanti, così bianco e nero, positivo e negativo, a far traballare le nostre coscienze, salvo poi, quando si tratta di esprimere, di dire cosa si pensa, essere allora perfettamente accusatori, pronti a cacciare nell’angolo l’ex campione che – comunque – ha messo in atto una sorta di autodistruzione del mito. Fa del male solo a se stesso, Maradona. Ma al mito, oggi, soprattutto quello sportivo, non si può perdonare nulla. L’immagine deve essere positiva, tipo quella – un po’ patetica – di Del Piero studente universitario col tutor che lo prepara agli esami. Perché l’essere maledetti, come Rimbaud, Jim Morrison e Kurt Cobain fa parte in pieno del loro mito e per un calciatore invece no? Dev’essere perché non si leggono più romanzi né poesie. È passata decisamente di moda la figura dell’artista maledetto, di quello tutto genio e sregolatezza, che affascinava tanto nel bene quanto nel male. E che cosa è stato Diego Armando Maradona se non un artista? Meglio: non è egli forse – anche adesso – come un personaggio uscito dalla penna di qualche scrittore di talento? Fosse ancora vivo Soriano, verrebbe da chiedergli di scriverla lui, un giorno, la storia di Diego Armando Maradona. Lo farà qualcun altro. Intanto, lui, Dieguito, sta sparpagliando alla rinfusa i capitoli di quel libro, una specie di sconclusionato romanzo d’appendice che comunque siamo tutti lì, pronti a seguire puntata dopo puntata, avidi di nuovi episodi. Salvo, poi, essere sempre pronti all’indignazione, allo sconcerto, a puntare il dito contro questo piccolo ma grandissimo core ‘ngrato.