Italietta o, peggio, italiaccia

Questo articolo è uscito ieri su il Venezia Epolis.

Mentre l’offensiva verso il nemico Rom (e rumeno) assume toni da rappresaglia e gli italiani, la maggior parte di loro, plaudono gaudenti, convinti che questa sia la soluzione a tutti i mali di questo sgangherato e vegognoso paese, mentre Marco Travaglio diventa il primo bersaglio bipartisan di una nuova legislatura, mentre ciò che resta dell’opposizione si cosparge il capo e l’animo di zucchero a velo e si prepara a essere il più gradevole scendiletto del governo più reazionario d’Europa, mentre un ministro dichiara che impiegherà l’esercito per ripulire il paese da chi è diverso da noi, mentre accade tutto questo, altri italiani, la minoranza, si guardano attorno. Perplessi. Turbati. Smarriti. E si domandano che fare, domanda che si mescola a uno sconcerto colossale e assoluto, sradicati da quelle certezze che molti erano riusciti a mettere insieme con meticolosa pazienza, costruite giorno dopo giorno attraverso letture, conversazioni, riflessioni, studi, viaggi, conoscenze, approfondimenti. Il percorso doveroso, insomma, che dovrebbe riguardare ogni essere umano e che qui, da un quindicennio, è stato sostituito da una autorefenzialità catodica capace di sfracellare un evidentemente fragilissimo senso critico e civico. È come se in pochi anni le coscienze di gran parte di questo paese fossero finite dentro a un frullatore. Abbiamo scoperto in fretta che valori, senso civico, solidarietà, tolleranza (termini oggi ridicolizzati dalle istituzioni stesse), erano solo scorza, buccia. Dentro c’era poco, animi acidi pronti a impregnarsi di demagogia, di facili e falsi slogan oggi scolpiti nell’immaginario collettivo di questo paese. Sembra un’impresa titanica, adesso, provare a invertire questa deriva pericolosa. E ci guardiamo intorno, disorientati, mentre gli altri smantellano. Ci domandiamo che cosa fare senza sapere da dove incominciare, tali e tante – troppe – sono le cose che ci stanno sfuggendo da ogni lato, irriconoscibili per come lo abbiamo conosciuto e come lo avremmo voluto, noi, questo nostro paese chiamato Italia. Smarriti, delusi, sconcertati, schifati. Che fare? Scrivere, intanto. Ché, per quanto mi riguarda, è l’unica cosa – oggi ritenuta inutile – che so fare.