Leggere Daniele Del Giudice
Questo mio articolo è uscito ieri, 3 settembre 2021, sul Corriere della sera.

Daniele girava sempre con un roller nel taschino della camicia. Nero, punta fine. Ne comprava di continuo, come facciamo in tanti, con penne e taccuini, forse tutti noi che abbiamo a che fare con la scrittura. Poi si tirava su gli occhiali sulla fronte e prendeva appunti con quella sua grafia minuta e piena di angoli, di spigoli. In un documentario girato da Mathieu Amalric – il regista di Lo stadio di Wimbledon tratto dal primo romanzo di Del Giudice – Daniele prende da uno scaffale uno dei suoi taccuini, lo apre, poi lo appoggia sul pavimento e ci si siede davanti, a gambe incrociate. Ci sono delle righe dalla grafia inconfondibile e il disegno del Campo Centrale visto dall’alto. Daniele lo guarda sorridendo per alcuni secondi e poi dice “Che strano eh? Poche pagine di appunti che diventano un romanzo”. Me lo aveva regalato, una volta, uno dei suoi roller, insieme a uno dei taccuini che aveva usato nel viaggio in Antartide, raccontato nel romanzo Orrizonte mobile (laggiù non poteva usare né roller né penne. “Soltanto le matite, mi disse, possono scrivere a quelle temperature tanto basse”). Il taccuino è rimasto intatto, pagine ancora bianchissime, il roller ha via via smesso di scrivere. Un po’ come lui, avvolto nella foschia permanente dell’oblio. Tutto è incominciato con un paradosso, con le parole. Smarriva poco a poco le parole, Daniele. Lui, lo scrittore più lucido, preciso, dalle frasi nitide, capace di tenere insieme con esattezza scienza e narrazione, tecnica e romanzo, ha perso anzitutto il suo vocabolario, la base fondamentale del suo mestiere.
Sono venuto a scrivere dove vengo sempre e dove il caso a un certo punto ha voluto fosse di fronte all’edificio dove stava, di là del bacino San Marco. Ogni giorno, in questi ultimi anni, da questi tavolini, un pensiero galleggiava verso l’altra sponda. Soprattutto da quando andare a trovarlo era diventato troppo doloroso. In quel pensiero c’erano anche la mia vergogna, le mie scuse.
Tanti oggi diranno, ricordandolo, che ha scritto poco, troppo poco, che era uno scrittore avaro, se non arido. Errore. Daniele Del Giudice ha pubblicato poco, questo sì, ma ha sempre scritto. Lascia i suoi libri e un archivio con centinaia di articoli che sono spesso dei piccoli saggi. Uno dei primi libri che mi ha regalato, a metà anni ottanta, è stato Nessun giorno senza una riga, di Juri Oleša. “Questo dovrebbe essere il motto di ogni scrittore”, mi disse porgendomelo. E sono tanti i suoi testi ancora inediti, che forse è giusto lo rimangano, se lui ha voluto così. Ma chi ne ha letti alcuni, sa che meriterebbero di stare pienamente all’interno della sua bibliografia. Oppure basterebbe recuperare le registrazioni delle sue interviste, delle sue conferenze, delle presentazioni dei suoi libri e sbobinarle, trascriverle, perché prima che incominciasse a perderle, le parole, Daniele le sapeva pronunciare come fossero già stampate, pronte alla lettura. Intervistarlo era un sollievo: niente ripetizioni, niente incisi o parentesi che non si chiudono. Era un visto si stampi, la voce di Daniele Del Giudice. Detta così, potrebbe sembrare che frequentarlo fosse sempre qualcosa di troppo serio, solo letteratura, libri e strutture narrative. Macché. Daniele è stata la persona più divertente che abbia mai incontrato. Con lui si rideva eccome, aveva un senso dell’ironia che spesso diventava comicità. Tipo quella volta che prima di presentarmi il suo amico Antonio Tabucchi, suo ospite a Venezia, mi ha fatto credere non si trattasse di lui ma di un amico impiegato alle poste, originario di Grosseto. Li ho mandati tutti e due a quel paese, ma è stata una serata indimenticabile. E quanto si rideva anche alle riunioni prepatorie a Fondamenta, la manifestazione letteraria che aveva inventato e che si svolgeva in Campo Sant’Angelo a Venezia, in mezzo alla gente di passaggio che poi vedeva Saramago parlare seduto su una sedia e strabuzzava gli occhi.
Uno scrittore dall’importanza fondamentale, Daniele Del Giudice. Ieri, me lo hanno confermato decine di ex studenti e corsisti di scrittura creativa. I loro messaggi sono il segno e la conferma del valore, della potenza, della perenne attualità dei suoi libri. Ringraziano di avere avuto l’occasione di scoprirlo, di leggerlo. Io continuerò a farlo, consiglierò, suggerirò, spingerò i miei studenti a leggere e rileggere uno dei più grandi scrittori contemporanei, Daniele Del Giudice.