Ayrton Senna, venticinque anni fa

Venticinque anni fa, durante il Gran Premio di Imola, moriva Ayrton Senna. Un anno dopo, ho scritto questo reportage per il quotidiano il manifesto. Il testo originale era molto più lungo, ma chissà dov’è finito.

In questi giorni di Gran Premio, entrando in un bar di Imola può capitare di trovare sui tavolini un invito a prima vista strano, macabro quasi. Guardandolo meglio, si legge: “Valeu Ayrton”, addio Ayrton, poi una croce, e vieni a sapere che il 1° maggio, alle 14.30, un anno esatto – anche nell’ora – dalla morte di Ayrton Senna Da Silva, presso la curva del Tamburello verrà celebrata una messa da Padre Amedeo Zuffa, “il frate che diede ad Ayrton l’estrema unzione”, si precisa.

Esagerato? Forse, ma a Imola l’atmosfera, oggi, è questa.

Quando si arriva, il primo contatto è con le bancarelle dei gadget, da sempre completamente rosse del rosso Ferrari: magliette, bandiere, sciarpe, cappellini. Quest’anno, in mezzo a tutto quel rosso, spiccano delle oasi verde oro, i colori del Brasile, quelli di Ayrton Senna. L’oggetto più richiesto è la spilla del casco del campione brasiliano. Feticismo esasperato, sconsiderato, forse, visto che fu proprio il casco a cedere alla maledetta sospensione, ma l’amore nei suoi confronti è autentico, sincero, capace di andare oltre a tutto. Davanti a una di quelle bancarelle, una ragazza bionda regge un cartello con su scritto in pennarello variopinto un messaggio così misterioso che manca il coraggio di chiederle cosa significhi: “Omaggio a Senna e Ratzenberger. Lassù non ci sono muretti”. Qualunque cosa significhi, grazie, ragazza bionda, per avere ricordato anche il pilota austriaco, morto il giorno prima di Senna, durante quel week end maledetto del 1. maggio 1994.

Per chi non è mai stato a Imola, non è facile arrivare alla curva del Tamburello entrando nel circuito dalla parte della Rivazza, soprattutto adesso, dicono, che a causa dell’incidente hanno posto una variante.

Manca più di un’ora alla prima sessione di prove, chiedo qualche indicazione e vado. Lungo la strada i ferraristi parlano del tempo strepitoso di Jean Alesi nelle prove libere di ieri, facendo finta di non sapere che Coulthard, poco fa, lo ha strapazzato. Qualcuno si compiace del ritorno di Nigel Mansell, finalmente con l’abitacolo della McLaren che risponde alle sue misure. I tedeschi, tifosi di Schumacher, si scolano birre su birre e si ingozzano di hamburger. Trovassero pure il tempo di parlare, del resto, sarebbe difficile capirli.

Il parco di Imola è bellissimo. Sui prati si gioca, si legge, si chiacchiera in attesa delle prove. Il circuito in mezzo a questi alberi e accanto al fiume Santerno è proprio un pugno allo stomaco, ma ormai è lì e provate a dire a un imolese di toglierlo. La curva Tamburello sembra sempre più lontana, fino a che, aggiustando la direzione su indicazione di un addetto, è facile capire che si è in tanti a essere diretti laggiù, soprattutto quella ragazza che ha un mazzetto di rose in mano e che a un certo punto però sparisce, oppure quei quattro giovani tutti con il cappellino blu con l’autografo di Senna stampato in giallo.

Più ci si avvicina e più diventa familiare il paesaggio. Un paesaggio che bisogna squadrare in un certo modo, quello del monitor della TV, dove centinaia di volte, dentro a quella porzione di curva, di circuito, di parco, abbiamo visto la Williams numero 2 arrivare veloce, andare dritta, schiantarsi contro il muretto.

Alcuni dall’accento bresciano stanno discutendo sull’efficacia della variante, poi uno dice: «Hai sentito che Patrick Head (della Williams, ndr) ieri è stato interrogato dal magistrato a Bologna?». E allora viene in mente un’altra inquadratura, quella dalla camera-car di Ayrton Senna, che è saltata fuori mesi dopo l’incidente ma che stacca giusto quando la macchina sobbalza e inizia la traiettoria sbagliata. Il fratello di Ayrton, qualche giorno fa, ha chiesto come mai la seconda parte di quelle immagini sia sparita.

Eccolo il posto, là di fronte. Dove c’è la rete spicca una bandiera brasiliana e intorno decine di messaggi da qui illeggibili e fiori, tanti fiori. Dietro, si intravedono decine di volti che guardano quello che è diventato una specie di santuario. Anche sul muro accanto ci sono messaggi dipinti in nero o in verde. Ci sono dei comissari di gara che li stanno leggendo. Si va dal più semplice “Ayrton sempre con noi”, al forse esagerato “Ayrton il 1° maggio sono morto con te”, firmato Andrea. Da un secco “Non è giusto” tracciato il 16 aprile ‘95 da Alessandro Parisi a un altro, enorme, “La tua morte mi ha privato di un sogno! (Non cancellate il mio dolore!)”, quasi una supplica firmata Davide.

Da questo lato del circuito, invece, c’è una bandiera brasiliana dipinta sul muretto, e accanto si legge: “Non sarà più bello come prima, mai nessuno potrà sostituire un mito. Grazie per tutto quello che sei stato. Addio Senna”. Sotto, un mazzo di rose fresche, quello della ragazza di prima.

C’è tantissima gente intorno, molti scattano fotografie. Una voce di donna domanda: «Ma perché era così amato?». Già, perché? Perché era il più grande? Troppo facile.

Mentre incominciano le prove e cercare l’uscita è un contro senso, una risposta, forse, c’è. Da quando si è scoperto che Senna manteneva col suo denaro centinaia di meninos de rua, viene da dire che era il più amato perché molti sentivano, senza riuscire a spiegarselo, questo suo conflitto: il fatto di essere nato ricco e diventato famoso in un paese come il Brasile, e sentire questo come una colpa difficile da sopportare, ma, al tempo stesso, voler fortemente essere il campione del mondo, l’imbattibile. Chissà. Intanto, il popolo ferrarista esulta: Berger, all’ultimo giro, ha sfiorato la pole position. Fuori, la ragazza con il suo strano cartello variopinto non c’è più.