La Venezia che vorrei

Questo post lo avevo scritto a fine ottobre. Non so come, è rimasto in stoccaggio come bozza. Oggi lo ritrovo e allora mi piace terminare l’anno con questa immagine leggera, preziosa e, mi auguro, di buon auspicio. Buon 2019 a tutti.

Il turismo di massa, certo, e le grandi navi (ne sono passate due poco dopo aver scattato questa foto). Seduto come al solito al bar in Riva dei Sette Martiri, me ne sto lì a scrivere (più precisamente a correggere bozze, in verità) mentre poche centinaia di metri più in là (forse soltanto decine) il solito ammasso di corpi vaga fra Piazza San Marco e Rialto facendo traboccare di se stessi tutti gli immediati dintorni. Qui dietro, però, tra via Garibaldi e il sestiere di Castello, la quotidianità dei residenti, pur di domenica, scorre con una naturalezza sempre più rara. Me ne sto lì, a disegnare geroglifici spero comprensibili all’editore, correggere, cancellare, sostituire e la coda dell’occhio percepisce iridescenze sconosciute sopra Palazzo Ducale. Alzo gli occhi dalla pagina e sono bolle di sapone – alcune giganti – a svolazzare in prospettiva sopra Piazza San Marco, in realtà a pochi passi dal mio tavolino. Un ragazzo tiene in mano due lunghe bacchette tenute insieme da degli spaghi intrecciati fra loro. Li intinge ogni tanto dentro a un secchio, poi muove le bacchette nell’aria, con delicatezza, et voilà, decine di bolle di sapone scaturiscono dagli spaghi. Con quei semplici gesti, trasforma in un attimo il paesaggio. Per qualche minuto fa tornare Venezia la città che dovrebbe essere. La Venezia delle Città invisibili di Italo Calvino.