Venezia 73, la Grande guerra di Ozon

Uno dei più bei romanzi di questi ultimi anni si intitola 14, il suo autore è Jean Echenoz e in Italia lo ha pubblicato Adelphi. Quel che racconta lo si desume dal titolo, e raccontarla, la Prima guerra mondiale, non è mai facile. Prima di tutto perché lo hanno già fatto in tanti e poi perché in queste date che ruotano attorno al centenario è evidente la corsa a volte sfrenata da parte di tanti artisti, di esserci, di – ahimè – approfittarne. Non è il caso di Jean Echenoz, che il suo romanzo lo ha pubblicato in Francia nel 2012, e non sembra nemmeno il caso di François Ozon, col suo film Frantz, visto ieri qui al Lido. Accosto queste due narrazioni perché hanno scelto di raccontarla più o meno allo stesso modo, la Grande guerra, e cioè nel modo più rischioso, quello che nasconde più trappole narrative, che ti fa percorrere i confini fragili della didascalia, del patetismo: raccontano entrambi la loro storia dal punto di vista di chi resta, di chi è sopravvissuto. Raccontare il dolore, la commozione, le lacrime, rischia spesso di trasformarsi in una maldestra – e a volte involontaria – furbizia. Per questo è difficile. E rischia anche di diventare un racconto prevedibile, ovvio. 

La struttura narrativa del film di Ozon è molto più semplice di quella del romanzo di Echenoz, ma al cinema, si sa, si tratta soprattutto di come la mostri, una storia, e Frantz è un film dal grande impatto visivo. È la storia di chi resta e del dolore che non se andrà più, di due genitori tedeschi che hanno perso il figlio, della sua promessa sposa che vive con loro, e di un militare francese che arriva al villaggio per portare dei fiori alla tomba (priva di spoglie) di Frantz, il soldato tedesco ucciso. È subito evidente il motivo per cui Adrien, l’ex soldato francese, è arrivato fin lì. Lo intuisci da delle piccole sfumature, piccole ambiguità che io credevo essere state messe lì volontariamente dal regista. Invece, nel press book del film è scritto con evidenza: Nota per i giornalisti. Vi chiediamo cortesemente di non svelare il segreto di Adrien. Boh, forse produttori e autori e regista pensavano di averlo nascosto dentro alla narrazione in modo impeccabile, o forse a me è stato chiaro perché quando ti occupi di narrazioni le noti sempre, le sfumature (e non sempre è piacevole, sia come lettore, sia come spettatore). Va bene, non lo svelo. Tanto lo avete capito, e non si può non farne cenno perché la struttra portante di questo film è la bugia. La bugia necessaria, quella che racconti per non aggiungere inutile dolore al dolore. Bugia e fragilità umana. Un bel film, a parte qualche lungaggine di troppo, e inutile, nell’ultima parte. Dettagli. Importanti però a volte. Un film utile, alla fine, perché della Prima guerra mondiale non ne sapremo mai abbastanza. (E leggetevi anche 14 di Jean Echenoz, se vi va).