Falò velenosi
C’è il sole a Venezia, oggi 15 gennaio 2015. Un paio di giorni fa è piovuto. Ma per settimane siamo stati avvinghiati dalla nebbia. E dal Pm10. Da inizio novembre la situazione si è riproposta incessante, fino ai picchi raggiunti durante le feste natalizie. Sindaci (quasi tutti), e presidente della regione se ne sono infischiati: perché mai correre il rischio di giocarsi i voti degli automobilisti e dei commercianti (le cui vendite, ma solo qui in Italia, sembrano essere esclusivamente connesse ai clienti automuniti, che senza macchina non mettono un piede fuori dall’uscio). Sembrerà bizzarro parlare di auto riguardo a Venezia, eppure è così. Una delle zone del Veneto più inquinate dal Pm10 è l’isola di Sacca Fisola, quella che sta accanto alla Giudecca. Respiriamo livelli altissimi di veleno da mesi, eppure dalle nostre parti si è “opportunamente” ripetuto il rito dei falò dell’Epifania. Evidentemente più importante della salute nostra e dei nostri figli. Il sindaco della mia città, Venezia, ha acceso di persona uno dei falò della terraferma, dimostrando tutta la sua sensibilità nei confronti di salute e ambiente. Questo articolo è uscito l’8 gennaio 2015 sul Corriere del Veneto.
Metti il naso fuori di casa, la mattina del 7 gennaio, e non basta mica si tratti del momento del ritorno al lavoro o a scuola, non basta che la data sancisca la fine delle festività e quest’anno pure l’anniversario di una giornata che dodici mesi fa esatti ha sconvolto le nostre vite. No. Ieri mattina abbiamo messo il naso fuori di casa, a Venezia e dintorni, e oltre a una nebbia da tagliare col coltello c’era pure quell’odore insopportabile di bruciato, di fuliggine, quella cosa acre che ti arriva dritta ai polmoni, che mentre respiri sai trattarsi di roba disgustosa, velenosa. Quella sensazione che ti dà – cosa rarissima, per fortuna, ormai – entrare in una stanza piena di gente che fuma. Solo che da quella stanza puoi uscire, dartela a gambe. Il problema diventa irresolubile quando avviene il contrario. Così, ieri, chi ha potuto, ha messo giusto il naso fuori di casa ed è subito rientrato. I più, però, non hanno potuto fare altrimenti, sciarpa ben stretta – e inutile – attorno a narici e bocca e via, dentro a quella nuvola maleodorante di umidità, di fumo e del famigerato PM10. Inutile dire la quantità di maledizioni partite di prima mattina verso tutti i falò della notte precedente, verso tutti i “Pan e vin” che sono bruciati per tenere viva una tradizione centenaria tipica di queste terre. Ora, si può discutere su quale senso abbia una tradizione del genere, nel 2016. È più che legittimo, ad esempio, domandarsi perché le tradizioni debbano per forza essere salvaguardate in quanto, appunto, tradizioni, e non possano, se dannose, essere messe in discussione se non eliminate, come sta facendo ad esempio la Spagna con le corride, dopo che cinque anni fa la Catalogna le ha abolite. A dimostrazione che sì, certe tradizioni fuori luogo e fuori tempo possono essere messe – eccome – in discussione. Ma pur volendo evitare di aprire un dibattito comunque infinitamente meno importante delle corride (se in Spagna c’è ancora chi obbietta che tori arene e toreri rappresentano una fonte considerevole di lavoro e di guadagno, non saprei cosa si potrebbe obiettare a proposito dei “Pan e vin” nostrani), forse era il caso, quest’anno, visti i livelli abnormi della qualità della nostra aria, viste le giornate che stiamo vivendo perennemente avvolti nel PM10, forse era il caso che i nostri amministratori (salvo quei pochi più sensibili che li hanno vietati o che hanno chiesto fosse diminuita la quantità di materiale da bruciare) li bloccassero, questa volta, i falò dell’Epifania. Quasi nessuno avrebbe avuto da ridire, data la situazione di emergenza che stiamo vivendo. Macché. Guai a toccare le tradizioni, e qui intendo le tradizioni in generale, che pare siano diventate, negli anni, uno dei cardini cruciali della politica. Forse perché quando la politica non sa più dove andare a parare, ha come unica possibilità quella di toccare i campanilismi, le appartenenze territoriali, cui anche noi, cittadini smarriti, attingiamo come ultima oasi, orfani ormai di ideali e di valori. Solo che, alla fine, resta davvero incomprensibile come una tradizione – discutibile? – valga più dei valori di veleno che noi e i nostri figli, ieri mattina, siamo stati costretti a respirare.