Lidovagando (4). Attese e disattese.
Attese. Quella sicura, regolare, irrinunciabile di qualche manciata di ragazzini (alcune e alcuni un po’ in là con gli anni, a dire il vero), che fin dal primo giorno si piazzano ai margini del red carpet e non c’è verso di schiodarli da lì, pronti a tutto per un selfie o un autografo con i divi di turno. E poi c’è L’attesa, il primo film italiano in concorso, dell’esordiente Piero Messina. Ha 33 anni, che è un’età importante non soltanto dal punto di vista simbolico. A quell’età, se vuoi fare il regista, il narratore di storie per immagini, devi già sapere – e bene – come si fa. Il tuo immaginario deve essere pieno di letture e di visioni. La tua scrittura deve arrivare da migliaia e migliaia di pagine cancellate. Invece, la sua è una storia piena di crepe, di incongruenze, di lungaggini inutili, di passaggi irritanti. Sono rimasto fino alla fine solo per la sempre splendida interpretazione di Juliette Binoche. Ma se nell’immensa filmografia dell’attrice francese, questo sarà un perdonabilissimo passaggio a vuoto, per Piero Messina e per il cinema italiano qui alla Mostra, si tratta di un pessimo esordio. Soprattutto nello stesso giorno in cui è stato proiettato l’altro film in concorso, il bellissimo The Danish Girl di Tom Hooper, che racconta del primo transgender della storia, un pittore danese degli anni Trenta, e dell’amore assoluto e puro da parte di sua moglie, che lo accompagnerà nelle sue scelte fino in fondo e anche oltre, quando deciderà di pubblicare i suoi diari. Un film che bisognerebbe far vedere a qualcuno, che sta dalle parti di Ca’ Farsetti, il municipio di Venezia.