#maiconsalvini

Sabato, la squallida manifestazione in Piazza del Popolo, a Roma. Insulti, razzismo, qualunquismo, fascismo. Un concentrato del peggio che la peggiore Italia possa offrire. Tempo fa, a proposito del “brillante” segretario leghista ho scritto questa cosa, pubblicata sul Corriere del Veneto il 16 dicembre 2014. 

E così abbiamo scoperto che la sovraesposizione mediatica di Matteo Salvini è opera di uno spin doctor veneto, un docente di Informatica filosofica. Tutto merito suo, ammettono gli stessi leghisti, di questo guru del web, mago di quei fiumi di parole che scorrono nei social network. Ma sarà poi vero? La riflessione sulle nuove forme di comunicazione è uno dei temi centrali di questo periodo: se e come utilizzarli, se fanno bene o fanno male, se ci allontanano dalla realtà, eccetera. E se si guarda al “fenomeno Salvini” solo da questo punto di vista, la cosa pare indiscutibile. Funziona. Ma forse anche no. Perché quel che occorre chiederci è: Salvini ha tutta questa visibilità grazie all’uso sapiente dei social network (che di rimando spingono i talk show televisivi a invitarlo di continuo), oppure sono i contenuti di Salvini, le cose che dice, a parlare alla pancia della gente e i social network sono allora soltanto un puro megafono virtuale e virale? Sì, il punto di vista va rovesciato, perché quando scegli – come da sempre fa la Lega – di parlare alla pancia del “popolo”, come amano chiamarlo loro, i messaggi diventano essenziali, ficcanti, sfacciati, degli slogan semplificati fino all’osso. Quasi tutti incentrati sull’immigrazione come causa di tutti i mali, sull’Italia invasa dai musulmani, sui campi Rom da chiudere, sull’euro da abolire, intervallati però qua e là da teneri messaggini che augurano a tutti i followers una dolce notte, o che segnalano la sua presenza a questa o a quella trasmissione. Niente di nuovo, dunque. Puri slogan, come al solito, pubblicati in rete ogni giorno a manciate e che parlano alla parte più bassa della pancia degli italiani. In questo modo, dispensando demagogia e xenofobia a palate, chiunque sia in possesso di un minimo di notorietà e ruolo pubblico, avrebbe ahimè lo stesso seguito nella giungla della rete. Perché laggiù trovi di tutto: qualcuno se li ricorda i centinaia di “mi piace” sotto alla minaccia di morte, poi portata a compimento, di un ex nei confronti della sua ex fidanzata?

Non serve allora essere un “informatico filosofico” per capire che questa lettura della realtà, spesso elementare, a volte assai becera, tocca le corde più animalesche di chi tali cose ha voglia di sentirsele dire perché è la via più facile, perché non c’è niente di più consolatorio che dare la colpa di tutto agli altri, meglio se più deboli. Facile e proficuo. Oggi Salvini dice le stesse cose che diceva Bossi, ma lo fa in tempo reale. E lo fa attraverso una formula elementare: basta soltanto azzerare il proprio intelletto, la propria coscienza, avere di conseguenza una scarsa considerazione dei propri interlocutori, e alla fine far girare il tutto nei bassifondi della rete. Un posto dove spesso i pensieri hanno, al massimo, la durata e la consistenza di un clic.