Venezia si autodistrugge (uno)

Ecco il testo in italiano del mio lungo articolo uscito sul quotidiano francese L’Humanité. È diventato suo malgrado il primo di una serie che può essere racchiusa dal titolo – certo inquietante – di questo post, anche se su queste pagine, ne trovate molti altri riconducibili allo stesso soggetto. 

Qualche giorno fa, qui in Francia, mi hanno chiesto se è vero che fra cinquant’anni Venezia sarà sprofondata, cancellata dalle acque. Ho sorriso, ho detto che no, credo di no, e poi però mi sono chiesto che ne sarebbe della mia città se per altri cinque decenni continuassero a entrare in laguna le navi da crociera, sempre più grandi e in numero sempre crescente, come avviene puntualmente di anno in anno. Oggi si sfiora la media di una decina di passaggi quotidiani. Quasi un milione di tonnellate al giorno sopra l’equilibrio precario delle acque lagunari. Tutti ormai conoscono il problema, e tutti – fuori da Venezia – si stupiscono che ancora non sia stato risolto. Che non sia ancora stato semplicemente proibito a quei mastodonti di entrare nelle fragili acque della laguna. Perché la laguna non è il mare. Ci si stupisce tutti, fuori da Venezia. Molto meno in città, perché la grande maggioranza dei veneziani rimasti a vivere nel centro storico le vuole, le navi, perché “e porta schei”. Perché i pochi veneziani rimasti sono quelli che se ne fregano di proteggerla, di preservarla, la città che ci è stata data in prestito e che certamente noi lasceremo alle future generazioni ridotta molto peggio di come ci venne prestata. Sono i veneziani pronti a tutto. Sono il peggior nemico della città, come disse una volta Massimo Cacciari, quando era sindaco.

Eppure, in questi ultimi mesi, sembra sempre di essere a un passo dalla soluzione del problema. Ogni volta qualcuno dice che la prossima sarà la volta decisiva, che il folle passaggio dei paquebot dentro alla laguna a breve verrà finalmente risolto. Poi la volta arriva e decisiva non lo è mai, come l’incontro di una decina di giorni fa, a Roma, fra amministratori locali, capitaneria di porto di Venezia, il presidente del porto e il governo. Doveva essere il giorno della decisione presa di persona dal presidente del consiglio, Matteo Renzi, che poi nemmeno si è presentato e al suo posto c’era il sottosegretario Del Rio. Tutto rimandato prima a fine maggio, adesso a fine giugno, quando, parola del governo, verrà presa una decisione ovviamente definitiva. Si dovrebbe scegliere fra sette proposte, e se una decisione sarà presa, c’è da scommettere che sarà quella presentata dalle autorità portuali, e cioè il devastante scavo di un nuovo canale, che durerà – dicono – quattro anni, costerà moltissimo, i tempi non verranno rispettati e intanto devasterà l’ecosistema lagunare tanto quanto fanno le navi con i loro passaggi. Questi rinvii sono terribilmente italiani, messi in atto con la consapevolezza che tanto poi ci rassegneremo e tutto resterà com’è ora. Eppure, la decisione definitiva esiste già, venne presa dal governo Monti subito dopo il naufragio della Costa Concordia all’Isola del Giglio. Il decreto Clini Passera proibiva alle navi superiori alle quarantamila tonnellate l’ingresso in laguna. Poi, però anche Venezia è in Italia e allora il decreto portava con sé la classica deroga, la proibizione sarebbe scattata soltanto quando si fosse individuato un percorso alternativo. Le lobbies delle crociere hanno tirato un respiro di sollievo e i responsabili di porto e capitaneria, si sono messi la maglia arancione dell’Olanda del ’74, quella che aveva inventato il primo tiki-taka, che all’epoca, per via della lentezza del calcio di allora, si chiamava melina. Prendere tempo, farlo passare distraendo l’avversario e così sono passati quasi tre anni e nessuna alternativa è saltata fuori. O meglio, sette, un paio di buone (la proposta di spostare le navi a Porto Marghera, presentata dal sindaco, e quella di un nuovo scalo a Punta Sabbioni, cioè in mare, non più dentro la laguna).

Intanto però bisognerebbe smantellare l’idea, fasulla, di Venezia città di mare. Venezia non lo è, e noi veneziani abbiamo poco o nulla a che fare col mare, le nostre barchette servono per uscire in gita fra le acque della laguna, non certo per solcare l’Adriatico, e allora è folle aver pensato di piazzare un porto alla fine – o all’inizio, a seconda – della città, là dove è ora, in piena laguna. Scelta scellerata, ormai irreparabile, quando il porto avrebbe avuto senso altrove, non fosse che qualcuno, sempre in piena laguna, di fronte alla città, altrettanto scellerato, non avesse deciso di piazzare un polo industriale, Porto Marghera. Quello spettacolo perverso che è l’insieme di veleno e bellezza.

Certo, c’è una buona parte di veneziani che da tempo lotta contro il passaggio delle navi da crociera in laguna. Esiste un comitato che si batte con vigore, con iniziative, presentando al mondo studi e documenti che non lasciano dubbio alcuno sull’impatto distruttivo di quei passaggi quotidiani. Guai però a toccare gli interessi delle lobbies delle crociere. Si possono tollerare le periodiche manifestazioni, ma se poi cogli in flagrante l’insensatezza e il pericolo che corre ogni giorno la città più bella al mondo, allora scatta quella che Roberto Saviano chiama la macchina del fango.

È successo a me, nel luglio del 2013. Da anni vado spesso a leggere, a scrivere, soprattutto d’estate, al bar Melograno in Riva dei Sette Martiri. Non ci fai nemmeno più caso, seduto lì, al passaggio delle navi da crociera. Sono corollario dello sguardo. Fanno parte dell’arredamento, direbbe qualcuno. E stonano, va aggiunto, lo condizionano, quell’arredamento. Lo distruggono. Accostamento inquietante. Romanzesco, al punto che le ho raccontate, quelle navi, in un romanzo. Alcune le costruiscono a Saint-Nazaire, dove sono stato ospite di una fondazione letteraria, e ho imparato ad amarle quanto le amano loro, quelle grandi navi, i “paquebot”. Che poi da lì salpano verso l’oceano. Loro luogo naturale. Non verso la laguna. La laguna, ormai lo avrete capito, ha poco a che vedere con il mare. Tantomeno con le navi da crociera.

Per questo, a Venezia, se sei abituato al via vai mastodontico delle grandi navi, una piccola variante di quella che comunque resta un’anomalia, salta agli occhi. E così, una mattina di luglio dell’anno scorso, il passaggio della Carnival Sunshine, così a ridosso della riva, non poteva non farti sobbalzare. Qualche secondo di sorpresa e, subito, uno di quei nuovi gesti diventati abituali, prendere lo smartphone, scattare delle foto, girare un video. Che testimoniano una specie di scodata, ad assecondare un passaggio – forse – troppo sotto costa e riprendere poi la rotta per imboccare il Canale della Giudecca. Per carità, io faccio lo scrittore e di rotte e di manovre marine non ne so nulla. Lo sottolineo. E magari quella era una manovra normale, come ha subito precisato la Capitaneria di Porto. Che ne so. Restava l’impatto visivo, impressionante, l’inerzia della scodata, con la nave inclinata verso la riva. Sarà normale, a qualche decina di metri? Forse, chissà. Quelle foto e quel video hanno fatto nel giro di poche ore il giro del mondo. Diffuse dall’assessore all’Ambiente di Venezia, lo scrittore Gianfranco Bettin, a cui le inviai subito e che, quanto me, rimase sconcertato da quella manovra.

Non l’avessimo mai fatto. Io a testimoniare, come dovrebbe fare ogni cittadino di buon senso, lui a diffondere a nome della giunta di Venezia, la notizia. Oggi, soprattutto in Italia, il cittadino che segue il buon senso, che sa quali sono i suoi diritti e li rivendica, che conosce i suoi doveri e li applica, rischia. Il cittadino che mette in discussione – attraverso una pura testimonianza peraltro documentata, in assoluta buona fede e consapevolezza – quella che agli occhi del mondo intero è una pura follia, viene prima sbeffeggiato, poi insultato e, alla fine, accusato di reati gravissimi. Sono stato accusato dal comitato Cruise Venice – che appoggia il passaggio delle grandi navi in laguna e che ha direttamente a che fare con il business che ne consegue – di attentato alla navigazione, di procurato allarme, di simulazione di reato. Mi hanno definito un “manipolatore di prospettive”. Hanno assoldato dei detective affinché indagassero su di me e scoprire – addirittura – che a conferma del complotto messo in atto da me e dall’assessore, c’è un mio avvistamento in quel bar il giorno prima e il giorno dopo. Peccato siano migliaia – lettori dei miei libri e dei miei articoli compresi – i testimoni che sanno che quel bar lo frequento da oltre dieci anni, regolarmente. Un paio di mesi dopo, interrogato dal magistrato – che non ha mai convocato me – il pilota della nave ha ammesso la manovra più azzardata del solito, per via, disse, di un ferry-boat che arrivava in senso contrario.

L’aspetto più doloroso, però, è che sembra alla fine essere questa la Venezia che i veneziani vogliono, quella del video di un mastodonte che sfiora vaporetti e rive, perché porta soldi. E se sei contrario a questa follia, significa che te ne freghi di coloro che al porto ci lavorano, eccetera eccetera. Per tutto questo è assai probabile – al di là dell’inversione di rotta che Matteo Renzi vorrebbe dare a un’Italia estenuata e devastata da oltre vent’anni di berlusconismo – che alla fine, come al solito, non accadrà nulla. Di rinvio in rinvio, le grandi navi continueranno a passare in laguna, continueranno a devastarla e a portare “schei”, ché tanto questo è ormai il destino della città più bella e amata del mondo: essere spremuta fino in fondo, come una sorta di bancomat della bellezza. Del resto, cosa volete aspettarvi da un paese dove a un delinquente condannato in via definitiva a quattro anni di carcere per frode fiscale, viene commutata la pena in qualche mese di affidamento ai servizi sociali, quattro ore la settimana, e per il resto del tempo a quel pregiudicato viene consentito di apparire in tutte le tv della nazione, pubbliche e private, a fare la campagna elettorale per le elezioni europee? Vorrete mica che un paese del genere possa, e soprattutto voglia, risolvere la follia del passaggio delle grandi navi a Venezia? No, voi francesi non siete così ingenui. E soprattutto, non siete così idioti quanto noi italiani.