Ritornano sempre, non se ne sono andati mai

Questo articolo è uscito il 30 gennaio 2013 sul Corriere del Veneto.


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Quando si parla di certe cose, bisognerebbe riflettere a lungo, prima di aprir bocca. E dopo aver riflettuto a lungo, tacere, magari. Perché parlare di fascismo, oggi, in Italia, sembra essere diventato quasi un vezzo, un passatempo e, soprattutto, un modo becero di andare a caccia di qualche voto in più. Il problema sta nel fatto che non conta chi parla, chi dice le idiozie sentite in questi giorni, che hanno fatto strabuzzare gli occhi al mondo intero e meno, molto meno – ahimè – qui in Italia. Conta chi le ascolta, quelle cose. I giovani, in particolar modo. Molti di noi hanno gli strumenti per catalogare certe affermazioni come “bestialità”, altri, quegli strumenti non li possiedono. Non li hanno mai avuti, o li hanno smarriti, insieme a quella memoria collettiva sotterrata in questi ultimi vent’anni da tonnellate di sabbia. Ecco. Queste righe sono un suggerimento, ma vorrebbero anche essere una preghiera, un’implorazione: non ascoltateli. Non ascoltate Berlusconi, né Brunetta, né Galan. Non ascoltate nessuno. Neanche me. Leggete, magari. Cercate i libri di chi il fascismo lo ha vissuto, subìto e raccontato sul serio, leggete Primo Levi e Italo Calvino, leggetevi Una questione privata e Il partigiano Johnny di Beppe Fenoglio, leggetevi Mario Rigoni Stern e Il giardino dei Finzi-Contini, di Giorgio Bassani, e guardatevi magari anche il film omonimo di Vittorio De Sica. E ce ne sono tante altre, poi, di pellicole. Non passano più alla tv, ingolfata di porcherie, ma li trovate, se volete. Oppure andate su Youtube, a cercare le testimonianze di chi lo ha vissuto sulla sua pelle, il fascismo. O ancora, chi può, interroghi i suoi vecchi, chi ancora può raccontarci ciò che ha visto e sentito e subito. Alla fine di questo percorso, che dovrebbe essere doveroso, vi renderete conte di quanto siano sciocche, spesso ignobili, certe affermazioni, certe semplificazioni. Da tempo stanno istituzionalizzando l’ignoranza. E non si tratta di un tentativo, bensì di un obiettivo preciso. E per certi aspetti, ormai riuscito, compiuto. Ribelliamoci in silenzio, questa volta, facendo sentire soltanto il leggero fruscio di una pagina che viene girata, una dopo l’altra, oppure con le voci, ancora traballanti di emozione, con l’eco della paura, di coloro che hanno visto, vissuto, e sanno. Oppure fate una gita, breve e comoda per noi veneti. Un treno o la macchina in direzione Trieste, dove, accanto allo stadio Nereo Rocco, quasi invisibile, c’è la Risiera di San Sabba. Ci siete mai stati? È l’unico campo di concentramento italiano. In piena città. Basta una visita là dentro, a cancellare le parole insulse e vuote e in malafede di certuni. Fatelo. Sarà doloroso ma prezioso. E fuori di là, se da un tabaccaio vedrete un accendino in vendita con la faccia del duce, o una maglietta, proverete un brivido e un profondo senso di nausea e di schifo. Perché non c’è il fascismo buono o il fascismo cattivo. C’è stato – e c’è – solo il fascismo. Tragico, assassino, atroce.