Il giorno dopo


Abitare altrove, inteso come altrove periferico, in quella periferia strana, anomala, fantastica, che è Venezia. Il giorno dopo, qui, lo puoi vivere nel modo più intimo possibile. Nessun segno di festeggiamenti, il giorno dopo, da queste parti. Si sente soltanto ciò che sta avvenendo – lentamente – dentro di noi, capire che cosa sia successo e se davvero, il giorno dopo, possiamo dire di averla voltata davvero, questa pagina. Di avere cambiato addirittura libro, magari. Puoi stare ad ascoltarle dentro di te, queste domande, mentre Venezia è illuminata da un sole tiepido, brillante. Esco di casa, una giovane madre sfreccia sorridente, in tuta rossa e scarpette, davanti al portone. Tiene per mano sua figlia in tuta blu, scarpette da corsa, sorride anche lei. Nell’altra mano la giovane madre stringe una mappa di Venezia dove di Venezia c’è solo il profilo, nessun altro riferimento topografico. È la gara di orientamento. Già, bisogna orientarsi di nuovo, il giorno dopo, nel nostro Paese, bisogna riassestare la mappa della nostra quotidianità, da ieri sera ripulita, forse, o meno sporca, anche se poi ho gli anni sufficienti e la memoria viva che mi permettono di sussurrare, sommessamente, che un sentimento simile a questo – di altri giorni dopo, allora – li ho provati anche in un passato più o meno recente – dei giorni dopo non così complessivi come questo, forse, meno definitivi di questo, mi auguro. E fu nel 1994, nel 1996, nel 2006. Avevamo creduto fosse la fine dell’incubo anche quelle volte lì, perciò vale la pena, oggi, in questo giorno dopo, lasciare una piccola parte di noi all’erta, tenerla in allarme permanente. Poco più in là, il mio vicino di casa ha ancora esposto alla finestra il suo cartello “Io sono un’indignados (autentico)”, con nome e cognome in calce, a sigillare il suo sentimento. L’aria sembra più leggera e so che potete capirla, questa sensazione, perché l’avete provata anche voi, questa mattina. Raggiungo l’edicola, a due passi dalla laguna, e sarà un’impressione, ma pare si siano moltiplicate le pile dei quotidiani, rispetto al solito. Il primo che sfoglio, però, è un supplemento del Corriere della Sera. Perché il giorno dopo, oggi, è il giorno de La Lettura. Mi siedo su una panchina, io, consapevole che lo stato delle cose in cui ci troviamo immersi da anni, sia un risultato ottenuto soprattutto dall’avere raso al suolo la cultura, la scuola, l’università. E convinto che una grande colpa l’abbiano avuta anche i giornali, che a un certo punto si sono televisizzati. Hanno risposto per anni all’invadenza della televisione scimmiottandone il linguaggio, semplificando, cancellando. Articoli sempre più brevi, sempre meno spazio a pensieri, a idee. Sfoglio La Lettura, che esce oggi per la prima volta e trovo questa coincidenza fatale. Dopo lo squallore, che abbiamo vissuto lasciandoci risucchiare dentro, al punto da averlo addirittura istituzionalizzato, dopo l’epoca della volgarità e della semplificazione, a quest’epoca non si può, oggi, il giorno dopo, che rispondere con la scrittura, con i libri, con le idee. Il giorno dopo la fine – forse – dello squallore, è Ai Weiwei, dalla copertina di Lettura, a dirci come siano l’arte, l’invenzione, la cultura, da sempre, i veri nemici del potere, di tutti i poteri. E il giorno dopo – dopo il congedo di ministri col dito medio alzato rivolto ai cittadini che, democraticamente, li contestano – ci si risveglia ripartendo dalle parole.

serraVado alla Serra dei Giardini di Castello, edificata nel 1894 con lo scopo di realizzare un “tepidarium in vetro e ferri” atto ad ospitare le palme e le altre piante decorative utilizzate per l’Esposizione Internazionale d’Arte di quell’anno. È stata chiusa per decenni, oggi è ritornata a essere una serra e un bar. Oggi sembra ancora di più un altrove unico, speciale. Sfoglio le pagine, mi dico che bisognerebbe allora rispolverare la parola collera, che nessuno pronuncia più, e la reazione di migliaia di cittadini ieri sera a Roma, criticata da politici che non sanno più leggere, più guardare, altro non è che lo sfogo di anni e anni di collera implosa, sopita, ricacciata giù a fatica. Una collera dolorosa che nel suo manifestarsi democratico, naturale – la contestazione – trova la sua giusta collocazione. La collera sociale, civile, vietata dalla politica demagogica di questo paese, e trasformata subito, a parole, in altro. “Uso criminale della piazza”, ha detto qualcuno. Uso criminale, il loro, delle parole, dico io. Il giorno dopo, in questa mattinata di sole, è bello che sia il giorno della Lettura, della scrittura, e leggere allora un grande scrittore dirci che “la creazione è una faccenda privata, quasi segreta a cui si arriva in modi misteriosi”. Una faccenda privata, come questo giorno dopo, perché per quanto ci si possa trovare insieme a discutere, a festeggiare, a contestare, alla fine di questo buio, che ha attraversato un pezzo decisivo delle nostre esistenze, è dentro di noi che il momento va vissuto, sentito, compreso. Ritorno a casa. Fuori, incontro l’ex presidente della municipalità di Venezia. “Buongiorno”, mi dice, ed è come se la pronunciasse, la B maiuscola, R raddoppiate e un sorriso largo. Da oggi il sole sarà più luminoso, aggiunge con un volontario tono retorico. Sì, lo sarà, replico io. Forse, il giorno dopo.