Diario di un viaggio particolare
Vediamo un po’. Sono in un treno che ritorna verso Venezia (ieri sera, una piacevolissima presentazione insieme a Piersandro Pallavicini di Sentimenti sovversivi, a Milano, al Bistrò del tempo ritrovato, un caffè-libreria da non perdere). Al solito la carrozza è surriscaldata e io sono un t-shirt (trincerato in uno di quei posti doppi, in fila, i più nascosti, ché in t-shirt mi imbarazza un po’, ma insomma), battaglio con dei colpi di sonno regolari, ma ricacciati indietro per seguire la cronaca, via twitter, di quanto sta accadendo a Roma. Tra Brescia e Verona, più verso Verona, ho fatto partire un twit (o tweet?) che fa:
Attende con ansia, ma sa che alla fine, estenuato da anni di disgusto, non riuscirà nemmeno a trovarla, la forza di festeggiare. #finecorsa
In pochi minuti si guadagna quattordici mi piace e quattro commenti (oggi, il mio amico Giuseppe, esperto di social network, mi ha spiegato quanto contino quei credevo inutili likes). Però è così. Chi ha letto Sentimenti sovversivi, e prima ancora Cosa cambia, e tanti degli articoli che ho scritto in questi anni, e anche il primo dei miei Libr@, sa quanto quest’epoca, quanto la decadenza civile, sociale, etica, morale, politica, economica, culturale del nostro Paese (toh, sto ricominciando a scriverlo con la maiuscola), abbia condizionato la mia scrittura, i miei libri, le storie, le conversazioni con molti di voi. Soprattutto dalla Francia in questi giorni mi arrivano messaggi e email di amici e di lettori che chiedono notizie del mio stato d’animo, io che per loro sono uno dei testimoni più attenti dell’Italia di oggi (esagerano, ma li ringrazio). Si immaginano, e io con loro, bevute a rotta di collo, saltelli a braccia alzate, urla sguaiate e liberatorie. E invece, oltre a una vaga, leggera, naturale sensazione di sollievo, nulla. Anzi no, la sensazione di intuire attorno a me, attorno a noi, tutte le macerie che ci lasciano in eredità, tutto lo sconquasso indicibile, tutte le lacrime, di fronte a un Paese distrutto. Certo, ho speranze, come tanti di noi. Ma non so se ho, se avremo le forze. È come se, nell’atto finale, nell’attimo liberatorio, insieme alla gioia, si liberassero anche tutte le tossine, tutto il disgusto provato ogni mattina, non appena i miei occhi si posavano sui giornali e venivano feriti dal racconto dello squallore. Nessuno me le risarcirà più quelle mattine. Nessuno mi ripagherà delle tonnellate di vergogna provata in questi anni. Vergogna intima e vergogna pubblica, quella che ho dovuto affrontare ogni volta che mi si chiedeva di raccontare l’Italia in un articolo, in una tavola rotonda, a un convegno. No, non riuscirò a fare salti di gioia, fra poco, quando quel tizio rifatto e strafatto se ne andrà. Anche perché, ora, fra Verona e Vicenza, arriva un twit di Giorgio Gori, ex direttore delle reti Mediaset, inoltrato da Matteo Renzi. Giorgio Gori che, come se niente fosse, come se non fosse stato per anni e anni il megafono del berlusconismo, come se non fosse stato il manipolatore di cervelli attraverso la peggior televisione possibile, sembra stia attendendo il momento fatale con la mia stessa ansia. E io gli rispondo che no, imbarazzante Gori, la mia ansia, la stessa di chi come milioni di noi ha subito quest’epoca sulla propria pelle e sul proprio destino, no, caro Gori, la tua ansia non ha nulla a che vedere con la nostra. Anche per questo, non mi verrà di fare festa. E chi mi conosce, sa quanto ho aspettato, come voi, questo momento.
Sentimenti sovversivi a tutti, amici miei.