A Steve Jobs
Sto isolato in un altrove, a scrivere. I miei attrezzi sono una penna, un quaderno e l’iPad. Spesso, la notte, a letto, rileggo quel che ho scritto sull’iPhone. E cancello, e correggo. E poi salvo quelle parole su iCloud. Su una nuvola. Queste righe, le sto scrivendo, di getto, sull’iPad, pochi istanti dopo aver letto della morte di Steve Jobs. Ho letto delle dichiarazioni, in rete, fra cui quella del Presidente Obama. Suonerebbero altisonanti, riferite forse a chiunque altro. Non a Steve Jobs. Perché lui ce l’ha davvero cambiata, la vita. Qua sotto al terrazzo dove sto scrivendo, sta passando adesso un ragazzo, fa jogging, e ha addosso le cuffiette bianche. L’ultima immagine che ho di ieri sera, è quella di una ragazza seduta la tavolino di un bar, che digitava su un macbook bianco. Esagero anch’io, forse, ma io lo so, so bene che i miei libri, la mia scrittura sarebbero stati diversi, se non ci fosse stato Steve Jobs. La musica che produce mio fratello non sarebbe stata la stessa, se non ci fosse stato Steve Jobs. Mia madre e mio padre hanno incominciato a mandare sms e a navigare in rete soltanto dopo aver ricevuto in regalo l’iPhone. E questo vale per milioni di persone al mondo. Lui, l’uomo che ci ha resi più liberi, è morto il giorno in cui in Italia viene votata una legge che prevede il carcere per i giornalisti se, liberamente, dovessero pubblicare certe notizie. Un segno, verrebbe da dire. Ma viene da dire anche che proprio grazie alla rete, agli iPad, agli iPhone, grazie alla nuvola di Steve Jobs, i reazionari fuori tempo usciranno comunque sconfitti.
Sono milioni, ora, le persone al mondo che lo stanno ricordando. Io lo faccio nell’unico modo che conosco. Attraverso alcune righe di Sentimenti sovversivi.
Quando ci sono arrivato, la prima volta, mi sono reso conto che se nella tua vita sono tante, di solito, le case che hai abitato, che abiti, e che abiterai, mi sono accorto che, fra queste, da una parte c’è la casa dello stare, dall’altra la casa dell’essere. Quest’ultima, è meglio non coincida con casa tua. È piuttosto un sentimento. Senti che questo è il luogo. Non necessariamente dove vivere ma, di sicuro, dove ritornare quanto più di frequente possibile. Perciò sono di nuovo qui, e non ricordo più che volta è questa. La quinta, la sesta, non so. La prima volta che ci sono arrivato non è stata solo una percezione visiva, dunque, ma un vero sentire. Questa è la casa, ho pensato subito, non per forza mia, la casa, né raggiungibile a piacimento, condivisa con decine di altri scrittori prima di me, altrettanti dopo di me, invitati a fare dentro a questo appartamento, o su questa terrazza, proprio quello che sto facendo io, adesso, vedete, l’iPad piazzato sopra al tavolino ripulito e ordinato, un taccuino pieno di appunti, una penna, una caraffa d’acqua e un bicchiere.
Sulla videotastiera dell’iPad, liscia, lucida, le dita non picchiettano sui tasti, ma li sfiorano, ci scivolano sopra, e lettera dopo lettera, tasto dopo tasto, sono delle carezze a far scaturire le parole. Scrivere accarezzando le parole, chi l’avrebbe mai detto. Un oggetto che, subito, appena lo vedi, sembra la lavagnetta di quando eravamo bambini (fatta di ardesia, come i tetti delle case da queste parti, la stessa dei tetti del Petit Maroc, lavagna diffusa di scrittura potenziale). Quella lavagnetta con i gessetti colorati su cui – regalata a Natale o al compleanno – hanno preso forma le invenzioni più effimere della nostra vita, disegni e testi della durata di un attimo, il tempo di crearne uno, guardarlo, ammirarlo (non era così spiccato, allora, lo spirito critico) e, subito, cancellarlo. Guai a metterti in testa di scriverci una storia, là sopra. Nessuna pagina da far scorrere, solo l’infinita variante di uno stesso incipit. E usata così, adesso, guardata mentre scrivo, inclinata dalla custodia, sembra trasformarsi in una Lettera 22 piatta e liscia, macchina per scrivere del domani. La tecnologia che ti porta avanti partendo dal passato, e che ti fa stare nel presente come hai sempre desiderato. E avrei voluto scrivere una storia d’amore, quando ho iniziato questo libro, la prima volta che sono arrivato qui. Ma oggi è impossibile, credo, per uno scrittore italiano, scrivere una storia d’amore, riuscire ad astrarsi da un insopportabile senso di repulsione per il proprio paese. La quotidianità ti incalza metro dopo metro, sta in agguato a ogni angolo, provi a scartarla ma lei ti insegue, ti penetra dentro, non ti lascia scampo. Com’è possibile, oggi, mi domando, inventarsi dei personaggi che vivano e che agiscano in un altrove asettico, immuni dal marciume che ci sta attorno, che ci sovrasta, che si è insinuato dentro ciascuno di noi?.
Poi, alla fine, l’ho scritta, la storia d’amore, sulla lavagnetta di Steve Jobs. Grazie di tutto, Steve.
Location:Mediterraneo