Stile, lingua, scrittura
Questo mio articolo è uscito su Il Fatto Quotidiano di venerdì 25 giugno 2011.
Ci sono temi che ruotano intorno al mondo del romanzo che ritornano periodicamente a risuonare. C’è chi sostiene che il romanzo in Italia non abbia più nulla da dire, che si tratti di una forma non più in grado di rappresentare alcunché, e c’è chi si chiede se in Italia esistano scrittori capaci ancora di “fare letteratura”. Se lo è chiesto Vincenzo Cerami, domenica scorsa sul supplemento culturale del Sole 24 Ore, sottolinenando l’assenza, a suo avviso, di scrittori capaci di fare dello stile, della lingua, il motore centrale di un romanzo. Lamenta, Cerami, il dominio di una narrazione tutta incentrata sulla trama, sulle vicende, sui personaggi, e l’incapacità, o l’indifferenza, di fare della lingua un personaggio stesso del romanzo. Insomma, sembrano esserci oggi, in Italia, scrittori capaci di concentrarsi solo sul “cosa” raccontare e non sul “come” raccontarla, quella cosa. Se ci si limita a guardare le classifiche delle vendite, sembra proprio non avere torto, Cerami. Tocca dargli ragione anche dopo avere sfrugugliato fra gli scaffali di tante librerie, o dopo avere vagliato attentamente le cinquine dei premi più importanti. Tutto un trionfo di trame, di vicende, di personaggi, di generi, spesso “tirati via” con una scrittura che si discosta poco o nulla dal parlato televisivo. Anche se giro lo sguardo, in questo momento, in treno, verso la mia vicina con un libro fra le mani (“la telefonata che avevo tanto temuto, arrivò”), sta leggendo un noir. Insomma, verrebbe spontaneo dare ragione a Cerami, non fosse che, sapendo bene di che cosa sto parlando, sono perfettamente in grado di dire che non è così. Che in Italia ce ne sono eccome di scrittori consapevoli, come diceva Calvino, che solo chi ha coscienza linguistica, può fare letteratura. Sono quegli scrittori che non affollano le classifiche, che sui banchi delle librerie ci stanno poco, o per nulla, e poi finiscono a scaffale, una copia, quando va bene (ma sono anche quegli autori che appaiono nella periodica classifica di Pordenonelegge, che scrivono su Nazione Indiana o sul Primo Amore). Sono i campioni delle rese o, peggio, i trionfatori degli ordini infimi che molti librai riservano ai loro libri (ma sono anche quegli autori recensiti da lettori attenti su Anobii, sono autori che girano l’Italia invitati dalle librerie indipendenti e dai piccoli festival letterari). È un problema di macchina della comunicazione, di difficoltà della diffusione, più che di un’assenza. Se anche a un addetto ai lavori come Vincenzo Cerami questi nostri libri non arrivano, allora c’è qualcosa che non va. A un certo punto del suo articolo, Cerami fa cenno agli editor. Dopo aver giustamente detto che “la lingua del romanzo è come il coro della tragedia greca, ha funzione di personaggio collettivo”, Cerami sottolinea un aspetto importante. ” Molto spesso, sfogliando questi libri, anche sbrigativamente, sento con imbarazzo la forte interferenza della figura esterna dell’editor”. Già, sapesse quanto spesso un autore che proponga in lettura un testo attento più al “come”, che al “cosa”, si sente dire “c’è poca trama”, oppure “dovresti lavorare di più sui personaggi”, o anche “al protagonista a un certo punto dovrebbe succedere qualcosa, il lettore ha bisogno dei colpi di scena”. Capita spesso, sì. Perché anche certi editor, mica solo i lettori, hanno perso la capacità di emozionarsi davanti alla pura forza di uno stile inconfondibile, di una lingua capace di connotare, di mostrare, di sedurre. E di questi rilievi restano vittime gli esordienti, soprattutto. Non gli autori che magari cambiano editore a ogni libro. Che continuano con coerenza il proprio percorso, più o meno invisibili, più o meno ignorati, dai canali cosiddetti ufficiali. Sono gli autori che fanno una fatica boia ad arrivare nelle mani dei lettori, i cosiddetti scrittori di nicchia. Letterati, che riempiono quel vuoto lamentato da Cerami. Letterati, sì. Parola che però risuona sempre più stonata. Quasi sinistra, ormai, in certi luoghi. Non dappertutto, però.