Artisti, Biennale, coerenza
Questo mio articolo è uscito il 23 giugno 2011 sul Corriere del Veneto.
C’è una parola che risuona da settimane. Una parola importante, che avevamo smesso di pronunciare perché avevamo smarrito il sentimento che la fa scaturire: la parola indignazione. All’improvviso, prima grazie al libro di Stephan Hessel, e più di recente al movimento de Los Indignados spagnoli, questa parola e il suo sentimento sono ritornati a essere quasi al centro della nostra quotidianità. A detta di molti, è stata l’indignazione ad accompagnare l’ondata contraria che, ai ballottaggi e ai referendum, ha mostrato a tutti che – forse – un giorno, un’Italia diversa sarà possibile. Forse. Il rischio, però, adesso, è che puntualmente l’indignazione diventi una sorta di marchio, un termine talmente abusato, tanto da trasformarsi in fretta in qualcosa d’altro. Dovremmo istituirla davvero un giorno, una Salvaguardia delle parole e dei loro significati. Perché poi accanto a indignazione ce n’è un’altra, di parola chiave. Ancora dispersa, a dire il vero, lontana, smarrita e, soprattutto, tremendamente temuta da tanti: coerenza. ” Costanza logica o affettiva nel pensiero e nelle azioni”, dice il dizionario. E diciamo che non esiste indignazione che non abbia come base la coerenza. O dovrebbe, almeno. Prendete il caso della Biennale Arte, Padiglione Italia e tutte le diramazioni regionali che si stanno inaugurando in questi giorni. Il progetto è noto, oltre che assurdo. Mettere insieme un numero spropositato di artisti per creare il più caotico bazar dell’arte (definizione data da una stessa partecipante al progetto). È noto che alcuni artisti hanno rifiutato, soprattutto visto il nome del curatore, Vittorio Sgarbi. Ma un’altra marea di artisti ha invece accettato. In questi giorni le pagine Facebook di migliaia di utenti sono invase dagli inviti alle inaugurazioni dei padiglioni regionali. Sono gli stessi artisti, giustamente, a fare promozione. Guardi i nomi, e trasecoli. Al di là di più o meno discutibili presenze, ci sono nomi di artisti che in privato e non solo, non esitano a dire di Sgarbi quel che pensano. O non esitavano, quanto meno. Poi, giunta la chiamata, signorsì, grazie, e tutti in coda. Ché quel che conta saranno le note biografiche, che da oggi in poi potranno arricchirsi di una formula fatale: “nel 2011 ha partecipato alla 54^ Biennale d’Arte di Venezia”. Che, si sa, non è cosa da poco. Quasi tutti, c’è da scommetterci, si guarderanno bene dal precisare chi fosse il curatore del padiglione che li ha ospitati. Per carità, non serve neanche dirlo, ma lo faccio: ciascuno è libero di compiere le scelte che ritiene più opportune. Ma alla fine, tutti questi “artisti” (con le virgolette, perché fra loro ce ne sono alcuni che poco hanno a che fare con l’arte), hanno sancito una certezza: l’assoluta impronunciabilità della parola coerenza, ben lontana, ancora o ormai, dall’appartenere a quest’epoca, a questo paese, e a tutti noi.