Veneto oggi e letteratura
Questo mio articolo è uscito il ottobre 2009 sul Corriere del Veneto.
Una serie di incontri sulla letteratura veneta, organizzato all’Ateneo Veneto di Venezia e intitolato Pensare il futuro, narrare nel presente, mi ha spinto a delle riflessioni. Ho sempre pensato che l’avventura più affascinante per uno scrittore fosse quella di cercare di raccontare il proprio tempo. Fin da quando ero studente cercavo nei romanzi contemporanei una risposta a ciò che mi stava intorno. Soltanto quando ho incominciato a scrivere – presto – ho capito che uno scrittore non può e non deve dare risposte ma, piuttosto, provare a fare luce sulle cose da un punto di vista diverso, spostato da quella che è la percezione comune. Il fatto è che non è facile. Non lo è mai stato, ma oggi ancor di più. Non riusciamo a fermare quel frullatore dentro al quale finiscono le parole – intese come vocabolario – dove finiscono valori, idee, pensieri, speranze, sentimenti. Un frullatore dal quale esce una poltiglia indecifrabile, inestricabile. No, non è facile. Serve quasi un setaccio magico, per recuperare tutto quello che il frullatore, distruggendo, mescola insieme. Le parole, soprattutto. Ecco cosa deve fare lo scrittore, sottrarle a tutti i costi dalla poltiglia e riportarle al loro significato originario. Parole finite nel frullatore perché credute obsolete, o che, peggio, sono state svilite, frantumate, sostituite da altre che semplificano o che mistificano. Potrei fare una lista, allestire un nuovo abbecedario delle parole da salvare, da ritrovare. Ma preferisco soffermarmi sulle parole che hanno cancellato prima e sostituito poi quelle che noi dobbiamo recuperare. Quelle usate da Gentilini, per esempio. Qualche giorno fa è stato finalmente condannato, certo, per l’uso indecente del vocabolario nuovo tanto caro alla Lega. Ma sono anni che le pronuncia, quelle parole. I suoi proclami sono ormai incistati dentro gran parte delle menti e delle anime venete. Una condanna perciò inutile e tardiva, ormai. Ecco dunque quello che uno scrittore, oggi, e uno scrittore veneto in particolare, deve fare: ritrovare le parole perdute, necessarie come non mai per raccontare l’indicibile che, sempre più spesso, ci attornia. Un indicibile che mai avremmo immaginato potesse impossessarsi delle nostre menti, delle nostre anime. Ritrovare le parole perdute dei padri (Meneghello, Comisso, Parise, Rigoni Stern, Zanzotto), offrirle di nuovo a chi le ha smarrite o le crede inutili e, grazie a quelle parole, cercare di raccontare questo Veneto incarognito. E dal racconto, come accade in ogni narrazione, suggerire una possibile nuova via. Nient’affatto diversa da quella, appunto, dei nostri padri.