Treni e scrittura
Questo mio articolo è uscito sabato 17 ottobre 2009 sul Corriere del Veneto.
Ogni scrittore ha dei luoghi prediletti dove scrivere. C’è chi si rinchiude sempre nella solita stanza, isolato, magari al buio, solo la lampada necessaria a mettere in luce il foglio, o la tastiera del computer. C’è chi, portatile sulle ginocchia, saltabecca da una stanza all’altra, scrivania, poltrona, divano, letto. Ci sono poi quelli che ancora tengono viva quella vecchia tradizione del caffè (inteso come bar), anche se oggi, di caffè cosiddetti letterari non ce n’è proprio. Io appartengo a quest’ultima categoria. Non solo. A me piace scrivere in treno. Là dentro, da sempre, è la cosa più naturale – oltre a leggere – che mi viene di fare. Dev’essere per via di trovarmi in quel tempo fratto, in quel frattempo da un luogo all’altro, in quell’altrove coercitivo fatto di immobilità in movimento. Salgo, mi siedo, cuffiette e portatile, o quaderno, o fogli, e incomincio. In questo modo, in questo isolamento ulteriore, come se non bastasse l’essere costretto dentro a quattro lamiere sfreccianti lungo una via obbligata, ne risente del tutto la socialità, ma – si sa – non si può avere tutto. Ovvio che l’ideale siano gli eurostar, i più comodi, tavolino e, a volte, addirittura la corrente elettrica. Poi magari l’aria condizionata non funziona d’estate, o il riscaldamento d’inverno. (Del tutto inutile, a questo proposito, dire che questa mia attività incontri la sua apoteosi in qualunque altro treno straniero, siano essi francesi, sloveni, belgi, svizzeri, tedeschi, inglesi treni che sembrano appartenere ad altre galassie rispetto ai nostri sgangherati convogli, e parlo di tutti i treni, mica solo dei TGV). Un po’ meno agevole, qui in Italia, è scrivere nei regionali, con quei sedili tendenti al basso, e il portatile sulle ginocchia che scivola giù. Ma, negli anni, gli accorgimenti necessari ho saputo trovarli. Per questo, quando i miei spostamenti non coincidono con appuntamenti ferrei, gli immancabili ritardi delle Ferrovie dello Stato sono una gradevole opportunità di lavoro ulteriore (sto scrivendo questo articolo su un eurostar diretto a Venezia, che porta con sé un ritardo di quindici minuti). Ma questo vale solo per me. Chi invece vede quotidianamente i propri tempi messi a soqquadro dagli instabili orari dei nostri treni, ha tutto il diritto di ribellarsi. Bene perciò ha fatto quel neo laureato in Urbanistica a fare causa alle FS. Non solo. Ha aperto la strada a una soluzione inattesa di questa crisi: i pendolari avranno modo di arrotondare stipendi o trovare un risarcimento a eventuali lavori perduti per via di ritardi, o per le giornate rovinate da viaggi fatti in condizioni disumane. In questo modo gli immancabili ritardi delle FS torneranno a essere utili non soltanto a uno stravagante scrittore, ma a tutti. Spero solo che le FS non si sognino di voler rivendicare parte delle misere royalties dei miei romanzi. Sai che beffa.