Fête des Voisins
Questo mio articolo è uscito il 25 settembre sul Corriere del Veneto.
Mi sono sempre chiesto quale gusto ci sia a litigare coi vicini di casa. Sono talmente tante le cose che non vanno in giro per il mondo che vedere gente sprecare energie per una pianta in più sul pianerottolo, una bicicletta nel sottoscala o una macchina temporaneamente parcheggiata davanti a un garage, vedere ciò mi ha sempre lasciato stupito. Certo, poi ci sono casi estremi, ma sono – appunto – estremi, e perciò delle eccezioni. Eppure le liti fra vicini di casa esistono e continueranno a esistere su scala industriale, come se le avessimo scolpite nel dna. La gente sembra portarle con sé a ogni trasloco, dentro a uno scatolone speciale, l’unico che non ci si dimentica mai in giro. E quando non si tratta di traslochi, ci sono liti che durano vite intere, che fanno parte del paesaggio umano di un condominio, o di un qualunque paesino. Spesso, detto da un punto di vista professionale, sono materiale narrativo formidabile. Ci sono storie talmente assurde che solo quando poi finiscono in un romanzo o in un racconto assumono, paradossalmente, una loro credibilità. Senti parlare in giro e sembra proprio non esistano soluzioni possibili a questo elemento apparentemente irrinunciabile della nostra quotidianità. E invece no. Da dieci anni esiste in Francia (ripresa poi, negli anni, da altri sedici paesi europei, Italia, ovviamente, esclusa) la Fête des Voisins, la festa dei vicini di casa. C’è un giorno specifico, in maggio, ma poi ogni condominio può scegliere di fare come gli pare. È un’idea semplice, banale, che però dalle nostre parti sembra impensabile anche se qualche città – o quartiere di città – ha provato a istituirla, Torino e Bari, per esempio.
Ho partecipato più volte, in Francia, alla Fête des Voisins. All’inizio, lo ammetto, l’avevo trattata con sufficienza, poi però, mi sono reso conto dell’importanza di un tale semplice appuntamento. Vicini che non si erano mai visti prima fra loro, o che magari si erano lasciati bigliettini furibondi sul parabrezza dell’auto, gente che si ignorava o, peggio, non si sopportava, li ho visti bere insieme un bicchiere di vino, mangiare le reciproche pietanze preparate per l’occasione, le ho viste, insomma, fraternizzare nel modo più naturale possibile. Da italiano del tutto disabituato a questa cosa, guardavo questi pic nic nel cortile di casa (o sul terrazzo, sul marciapiede) come la soluzione più formidabile alla convivenza in un condominio, un quartiere, un paese, una città. Beghe sciocche risolte anziché dall’amministratore o dall’avvocato, da una sana bottiglia di Muscadet. O dal Kebab della fiamiglia di origine araba. E visto che da noi Cabernet o Tocai non mancano, e il Kebab nemmeno, perché non istituirla pure qui, la festa dei vicini di casa?