Facebook e il terremoto

Questo mio articolo è uscito venerdì 10 aprile sul Corriere del Veneto.

Ci sono quei meccanismi, interiori, puntuali, che scattano a ogni catastrofe. Ovunque capiti, altrettanto ovunque scatta la solidarietà. Qui nel Veneto come altrove. Le calamità naturali hanno la capacità di uniformare i vari picchi di sentimento, di emozione. Di fronte alla tragedia gli animi si equiparano, scatta un sentimento unico e inconfondibile di condivisione del dolore. Il nostro paese è abituato da secoli ai terremoti e ai loro esiti catastrofici. Sono migliaia, coloro che si sono subito offerti, chi a correre laggiù per dare una mano, chi a mettere in moto offerte di ogni tipo. È – detto quasi con cinismo – la parte nobile delle catastrofi, questa. È come se le calamità naturali fossero volute da qualcuno per mettere alla prova questo nostro sentimento, per vedere se resta immutabile attraverso le epoche. E lo è, immutabile. Ciò che cambia è il contesto. Chi ricorda i terremoti del ‘76 in Friuli o quello in Campania dell’81, ricorda anche come la tv li seguì. Ricorda come la tv si trasformò all’istante in un servizio pubblico nel vero senso del termine. Ci aiutò a capire, a aiutare, a raccontare. Era ancora la televisione in bianco e nero, quella del ‘76, e pre tv commerciale quella dell’’81. Un altro mondo, insomma. Un giornalismo televisivo di un altro alfabeto. Non era la tv della lacrima facile, quella, e nemmeno della spettacolarizzazione del dolore. La televisione di oggi, è sinonimo di reality e di audience. È agghiacciante lo spettacolo che ci stanno offrendo in questi giorni. Il terremoto ci viene spiattellato sui nostri ultrapiatti come in un Grande Fratello diffuso, un Grande Fratello paradossale e cinico, non più dentro una casa, bensì il Grande Fratello dei senzatetto, degli sfollati. Il dolore viene setacciato in nome dell’audience e allora non resta che spegnere e andare sulla rete che, peraltro, è stata la prima a raccontarlo e mostrarlo, il terremoto, a darne notizia con la fragranza dei social network come Facebook e Twitter, con l’immediatezza video di Youtube. I nuovi veri reporter siamo noi stessi, con i nostri telefonini. La tv del dolore dei Vespa, degli Sposini sarà presto spazzata via da questo nuovo modo di raccontare, che non ha bisogno né di star mezzobusto né di inviate che sanno solo fare domande cretine. Sarà racconto puro, senza la sovrabbondanza di aggettivi tipica della tv del dolore. Unico inconveniente, quello che alla fine basti un copia incolla per sentirsi a posto con la coscienza. Pubblicare sulla propria pagina i numeri dell’Avis o della Croce rossa, o i conti correnti della Caritas e convincersi di avere fatto quanto possibile. Oppure indignarsi contro coloro che pensano già di costruire L’Aquila 2 o con quei politici che non vogliono risparmiare 400 milioni di euro, come si potrebbe accorpando il voto per il referendum alle europee. Non basta una pagina su Facebook, insomma, per invertire la rotta su una politica del territorio da quarto mondo, né per sentirsi partecipi alla solidarietà collettiva. Ma di sicuro è qualcosa di nuovo. Migliore della tv.