Venezia

Questo articolo è uscito sabato scorso su il Venezia. 

Raccontare Venezia. Raccontarla com’è oggi, raccontarne la contemporaneità, il sentimento. Le stonature, le contraddizioni. Dicono sia impresa difficile. Troppo rischioso, già narrato da altri, nei secoli, e poi c’è il pericolo cliché, nascosto dietro ogni idea, ogni immagine, ogni pensiero. All’angolo di ogni calle, insomma. Taccuino in tasca, penna a portata di mano, sali in vaporetto e dove la collochi, come la racconti quella nenia che, fermata dopo fermata, si trasforma in un tormentone. “È un dovere di tutti mantenere pulita la città”, dice una voce femminile, che esce meccanica dagli altoparlanti gracchianti dell’Actv. In italiano e poi in altre quattro lingue. Intorno, ci sono i palazzi, c’è il Canal Grande, l’acqua, i suoni e i colori di Venezia, cerchi le parole adatte a a fare lo slalom fra i luoghi comuni e il già detto, forse credi di averle pure trovate, fra San Tomà e Ca’ Rezzonico, ma poi quella cantilena ti distrae, la ascolti bene e alla fine ti fa arrabbiare, la trovi offensiva. Perché una volta c’era la mamma, che ti diceva di non buttare le carte per terra. Insegnamento prima, rimprovero poi, se necessario. La maestra più tardi, a scuola, dove in un angolo, quasi sempre nei pressi della lavagna, stava il cestino, tu chiedevi di poterti alzare, e lo buttavi là dentro, il foglio appallottolato, la brutta copia. Occorre dirle? Le sappiamo, queste cose. Allora, quando la distrazione ha raggiunto il suo culmine, quando la tiritera è penetrata dentro di te, insopportabile, inaccettabile, pensi – e scrivi, senza timori di clichés – che è ridicolo, oggi, che siano le istituzioni a sovrapporsi all’educazione, a sostituirsi al buon senso. Inutile, che un augusto assessore concentri energie e risorse in una campagna che non mostra che la superficie infima di un problema che non si è in grado di risolvere per incapacità manifesta. Che non servono le ronde di Piazza San Marco o il disco rotto della linea 1 se poi non ci sono degli ovvi cestini, se poi la città è resa invivibile prima di tutto per colpa di noi veneziani. Ecco, forse è questa la Venezia da raccontare oggi. Raccontarla per cambiarla, se possibile. Provarci, almeno, ognuno con i propri strumenti. Raccontare insomma una Venezia e dei veneziani, che non sanno più guardarla, e capirla, la propria città.

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